Sono figlia di un insegnante, un maestro di quella che tempo fa venina chiamata scuola elementare. Sono cresciuta tra quaderni, compiti, libri, tantissimi libri e sono stata educata a comprendere, a leggere, a pormi delle domande, ad andare un po’ oltre quello che si vede in superficie.
Il mio impegno con la scuola è iniziato con l’arrivo delle mie bambine: prima di loro la scuola viveva nei miei ricordi di ragazzina. La prima doccia fredda l’ho avuta davanti ai cancelli di una scuola primaria quando ho scoperto cosa sono le famiglie italiane, cosa vuol dire socialità, cosa vuol dire insegnante oggi, che strutture accolgono inostri figli, che competenze didattiche e relazionali ci sono, qual è la comunità educante che ruota intorno a queste ragazze e a questi ragazzi. Nonostante ciò, la scuola è per me non solo il posto della conoscenza, delle lettere dell’alfabeto, delle letture, dei testi, dell’imparare… la scuola è prima di ogni altra cosa il posto dove si impara che la bellezza dello stare insieme vale più della fatica che costa. È lì, tra quei banchi, a volte davvero obsoleti e fatiscenti, che si acquisiscono gli strumenti che per tutta la vita serviranno a fare comunità per raggiungere un obiettivo comune fosse anche solo lo spostamento di un’interrogazione collettiva, di una verifica e dove si impara ad organizzare il dissenso verso l’ingiustizia e la disuguaglianza.
Fa rabbia fermarsi a riflettere su a quello che vediamo succedere nelle nostre scuole ai tempi del Covid. Non ho potuto fare a meno di pensare alla generazione di bambini ed adolescenti che quest’anno si sono sentiti dire dalla comunità educante che il loro tempo tra i banchi, le relazioni tra i compagni, i rapporti con gli insegnanti e la sfida dell’imparare insieme valevano meno di tutto il resto. La scuola italiana contrariamente a quello che è successo negli stati dei nostri vicini europei è stata la prima a chiudere a febbraio del 2020, non ha più riaperto fino a settembre ed ha richiuso ad intermittenza in questo nuovo anno scolastico.
Oggi l’inasprirsi della pandemia ha portato nuovamente la DAD nelle nostre case; nelle regioni più a rischio già dalle scuole primarie. Ma la didattica a distanza non potrà mai dare quello che la scuola in presenza regala alla popolazione studentesca di tutte le età: la socialità, il bello dello stare insieme, esperienze da condividere, una possibilità di farcela, di pensare con la propria testa, di decidere per sé. Non tutti hanno le stesse possibilità economiche e le stesse profilazioni socioculturali: la scuola però regala, specie ai più piccoli, un’esperienza democratica, una possibilità di imparare senza distinzione di sesso, età religione, valori.
La storia delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi si fonda a scuola, quel posto dove i più piccoli prima e i giovani dopo si conoscono e condividono per anni gli spazi, la vita che si infila tra le ore di lezione, la passione per le materie che si intreccia a quella per le persone, la paura e la speranza, l’amore, l’amicizia.
Nonostante i limiti dettati dalla situazione molte scuole resistono in presenza. Ogni mattina accompagno a scuola la mia piccola di 10 anni e ancora rimango colpita dai tanti ragazzini festanti che con indosso una mascherina corrono gioiosi verso i cancelli. Ascolto il vociare allegro dei cortili, scorgo insegnati cariche di borse piene di libri, vedo amici felici di incontrarsi ancora e di raccontarsi intercetto occhi felici che nessuna mascherina potrà mai coprire e mi procura immensa gioia.
Nonostante le tante paure del momento, la pandemia che non rallenta, i vincoli che ci sono, i rigorosi protocolli Covid dettati per la sicurezza di tutti noi, sono fermamente convinta che non ci sia nulla di più essenziale alla crescita dei più giovani come la scuola in presenza e vale tutto il nostro sostegno, tutta la nostra cura, tutta la nostra attenzione, tutto il nostro fare comunità.
Perché come diceva Don Milani “I care” mi sta a cuore.