Noi ragazze degli anni settanta, che scendevamo in piazza per reclamare il nostro diritto ad una sessualità libera e consapevole, poco conoscevamo delle Partigiane e forse non eravamo pienamente consapevoli che quella libertà di cui godevamo e che ci consentiva di pretendere il diritto al divorzio e di decidere quando diventare madri, la dovevamo anche al loro impegno nella Resistenza. Che ne fossero state protagoniste fondamentali lo abbiamo appreso dopo, grazie al lavoro delle storiche che, da donna a donna, le hanno intervistate, vincendo la loro reticenza a dirsi, data l’accoglienza ricevuta dopo la Liberazione.
Così racconta Mirella Stanzione, una delle ultime sopravvissute passate per il lager femminile di Ravensbrück:
«Alle staffette partigiane dicevano: perché ti sei impicciata? Sei una donna, cosa ti importava di quanto accadeva? E ancora: se sei tornata cosa hai fatto per tornare? Come ti sei comportata con i tedeschi? Così ti può capitare che te ne stai al lavello a lavare i piatti, viene la Gestapo e ti porta via, e quando ritorni, riprendi a lavare i piatti».
Tre donne, tre partigiane che hanno squarciato il velo dell’ipocrisia e smascherato il conformismo degli stessi compagni di partito, svelando la natura discriminatoria dei rapporti fra i sessi anche nelle organizzazioni politiche, partigiane valorose e impavide combattenti che hanno sperimentato sulla propria pelle che “Le donne devono stare al proprio posto”. Anche a questa cultura si debbono la fatica di affermarsi delle donne in ogni ambito, la violenza di genere che sfocia nel suo effetto più atroce nell’uccisione. Radici profonde, difficili da estirpare. Emblematiche le esperienze, la vita, le lotte di Lina, Chicca, Estella.
10 anni, è il tempo che servì al Parlamento italiano per discutere, a porte chiuse (non si riteneva decoroso farlo alla presenza della stampa e del pubblico) e approvare la proposta di legge della partigiana, prima senatrice della Repubblica Italiana, Lina Merlin.
Si trattava di eliminare la mercificazione del sesso da parte dello stato, di abolire i bordelli o eufemisticamente le “case chiuse”, cioè la regolamentazione statale della prostituzione e disporre sanzioni nei confronti dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione. Le aveva conosciute le donne che vivevano lì, durante i mesi passati in carcere per il suo antifascismo, e sono loro ad inviarle le lettere che testimoniano le condizioni cui sono sottoposte, mentre la legge viene discussa. Lina, assieme a Carla Barberis, le raccoglierà nel libro “Lettere dalle case chiuse” pubblicato nel 1955.
Un deputato obiettò durante il dibattimento: “Perché abolirle? Svolgono una funzione sociale. Servono a proteggere la salute pubblica”. “Benissimo”, rispose Lina, “Allora per la funzione sociale creiamo una sorta di servizio di leva di 6 mesi per tutte le ventenni, naturalmente includendo le vostre figlie e le vostre sorelle”.
Moralismo, ipocrisia, oggettivazione del corpo femminile indotti dalla cultura patriarcale, denunciati in parlamento, tra donne e uomini che fino a quel momento avevano considerato normale ed immutabile un simile rapporto con la sessualità. Se ne andò dal PSI cui si era iscritta nel 1919 affermando che non ne poteva più di “Fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinismo”.
Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Chicca il nome di battaglia. Si impegna soprattutto nelle cellule comuniste che operano a Firenze. Inizialmente staffetta poi fonda i Gruppi di difesa della donna alla fine della lotta di Liberazione ha il grado di Comandante di Compagnia. La “maledetta anarchica” (come la chiamava Togliatti). Di lei si ricorda l’invenzione della mimosa come simbolo dell’8 marzo, ben più incisivo e importante il suo impegno per l’affermazione dei diritti delle donne e la sua indipendenza e coerenza nelle scelte politiche. Fu imprigionata dai nazisti e violentata. Lo racconterà molto dopo. Fece parte della Costituente. Non accettò passivamente l’imposizione del voto a favore dell’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione. Rimasta incinta dalla relazione con un uomo sposato, le fu intimato da Togliatti di abortire. Lei rifiutò affermando: «Le ragazze madri in Parlamento non sono rappresentate, dunque le rappresento io». Si rifiutò di candidarsi alle elezioni in disaccordo con Togliatti. E fu l’espulsione dal PCI. «Sono stata io una delle prima dall’interno del Pci a denunciarne le degenerazioni dello stalinismo».
A 20 anni fonda il Circolo giovanile socialista a Torino. Qui conosce Luigi Longo che avrebbe poi sposato. Nel 1926 viene arrestata a Milano, liberata dal carcere espatria col marito. Prima a Mosca, poi a Parigi. Nel 1936 è con Longo in Spagna. Nome di battaglia “Estella”. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Teresa è internata nel campo di Rieucros. Quando, per intervento dei sovietici è liberata resta a Marsiglia, dove s’impegna nella lotta armata con i partigiani francesi contro. Durante una missione a Parigi, all’inizio del 1943, è arrestata e deportata, prima nel lager di Ravensbrück poi in Cecoslovacchia. Nel frattempo Longo intesse varie relazioni con altre compagne. Torna in Italia soltanto dopo che l’Armata rossa libera il campo è tra le 21 costituenti. Nel 1946 è la prima degli eletti alla Costituente della sua circoscrizione e una delle più votate del Pci a livello nazionale e farà parte – per la sua indiscussa preparazione – della commissione dei 75, incaricata di stendere il testo della carta costituzionale. Nel 1948 è eletta deputata e sarà lei a proporre la legge per la “Tutele fisica ed economica delle lavoratrici madri”. Nel 1953, già separata da Longo a causa dei continui tradimenti, da un trafiletto comparso sul “Corriere della Sera” scopre che “Luigi Longo e Teresa Noce hanno ottenuto a San Marino l’annullamento del loro matrimonio”. Non era vero e per giunta Longo aveva falsificato la sua firma nella richiesta di divorzio. Smentisce pubblicamente inviando una lettera al quotidiano. Il Pci non gradisce. Mentre il comportamento dell’ex marito non viene censurato, perché la promiscuità viene ammessa per i maschi, i compagni con cui aveva condiviso anni di lotte si schierano dalla parte di Longo ed è lei ad essere messa sotto accusa e ad essere espulsa dal comitato centrale.