Il 26 giugno1967, moriva don Lorenzo Milani, all’età di 44 anni, mentre era in corso il processo di appello per la condanna ricevuta in primo grado per la stesura della lettera ai cappellani militari (nota come “L’obbedienza non è più una virtù”).
Con la sua morte il processo si interromperà, permanendo così la condanna di primo grado. Il caso ha voluto che la sua morte sia giunta nel mese di giugno quando nella scuola le lezioni giungono al termine e il tempo è dedicato agli scrutini, per non dimenticarlo ho scelto tre frammenti che mi sembrano significativi.
Primo frammento. Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Alcuni anni fa scrivevo che la scuola di don Milani si poteva definire, con i criteri di oggi una scuola inclusiva, perché al centro aveva messo gli ultimi, coloro che erano emarginati dai circuiti tradizionali. La cosa paradossale è che don Lorenzo portava avanti il suo progetto nella scuola più “esclusiva” che si potesse immaginare, dove l’importante era offrire ad ogni ragazzo la possibilità di realizzarsi partendo dalle sue capacità e potenzialità.
Secondo frammento “non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra diseguali” Quante volte mi sono sentito ripetere: “se usiamo delle attenzioni ad alcuni ragazzi in difficoltà, dobbiamo farlo con tutti (ndr. E cosa ci sarebbe di sbagliato avere delle attenzioni per tutti?) i compagni come potrebbero reagire e se ne potrebbero aggiungere altre dello stesso tenore. Quando le sento mi torna in mente questa frase e la sua moderna attualità: ogni ragazzo ha diritto di seguire il proprio percorso, partendo dalle sue possibilità dando ad esse la possibilità di manifestarsi e svilupparsi.
Terzo frammento “Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I CARE è il motto intraducibile dei giovani americani migliori: me ne importa, mi sta a cuore. Ma il suo contrario i Care in italiano ha una traduzione facile e per 20 anni ha rappresentato una parola d’ordine, mi riferisco all’espressione tipica degli squadristi in camicia nera: “me ne frego!”. In un’epoca in cui tutto viene sdoganato anche l’indecente e l’osceno ricordare la contrapposizione tra l’I CARE e il me ne frego, può essere un’operazione salutare.