Qualche giorno fa il Veneto è stato scosso dall’annuncio del presidente della Regione (sì, può non piacere, si chiama ancora presidente, non governatore) che si stava studiando la possibilità di posticipare di un paio di settimane la riapertura delle scuole: “Abbiamo già una delibera pronta per spostare la data. Stiamo facendo le ultime verifiche per individuare il giorno di inizio scuola, sicuramente andrà verso fine settembre”. L’ipotesi era allo studio dell’assessore all’Istruzione Elena Donazzan, la stessa che in radio canta “Faccetta nera”. Il motivo? Lo chiedono i sindaci della riviera veneta, che hanno scritto addirittura al ministro Garavaglia, e gli operatori turistici per poter allungare la stagione.  Come possiamo non accontentarli? Ventiquattro ore dopo la retromarcia, senza nessun senso del ridicolo. Come non detto, ci siamo sbagliati, le famiglie si sarebbero trovate in difficoltà. Sottinteso: dove piazzare i loro figli? Si torna a vedere la scuola come un parcheggio per i ragazzi, in modo da permettere ai loro genitori di recarsi al lavoro.

La scuola come risorsa per la crescita anche economica di una nazione va di nuovo a farsi benedire. Non interessa ai vertici regionali sicuramente. Nessuno sottovaluta il danno economico della pandemia al comparto turistico e al suo indotto. Ma siamo proprio sicuri che due settimane in più servano a dare ristoro a questo settore? Con tante persone in giro che fanno fatica a mettere assieme il pranzo con la cena, alle prese con sfratti e licenziamenti. In Veneto, in nome del dio denaro, si arriva a tutto: a consumare suolo come in nessun’altra regione, ad inquinare le falde acquifere, a costruire poli logistici e centri commerciali che fanno morire i negozi di vicinato e non danno occupazione stabile, a tagliare boschi per piantare vigneti. Siamo nella regione dove nei mesi scorsi, anche nelle fasi più acute della pandemia, si chiedeva di riaprire tutto e subito. Tutto, tranne ovviamente la scuola. Perché per la scuola non è mai il tempo giusto. La scuola può aspettare. Ma il danno educativo a centinaia di migliaia di ragazzi che hanno già pagato un prezzo enorme con la DAD, la DDI e la perdita di decine di giorni di scuola? Il costo sociale per le loro famiglie? Le esigenze e i problemi organizzativi di chi nella scuola ci lavora? Tutto questo può attendere?

Quindi, invece di preoccuparsi di rimandare la riapertura della scuola, sarebbe opportuno fare delle domande puntuali ai vertici regionali e non solo. Come siamo messi con il piano vaccini per settembre? Come verranno gestiti i trasporti scolastici? Si sono fatti interventi sull’edilizia scolastica per garantire una didattica in sicurezza? E il personale scolastico, al netto di concorsi e graduatorie, è sufficiente? È ovvio che per l’inizio della scuola tutte le cattedre devono essere assegnate. Se si inizia il 13 settembre le graduatorie devono essere pronte il 13 settembre; se si inizia il 4 ottobre devono essere pronte per quella data. Si tratta di un problema organizzativo e, se l’obiettivo è il 13 settembre, a quella data si deve puntare.

Al di là della gaffe, rimane la paura che una certa parte politica ha della scuola intesa come il luogo dei saperi, ovvero il timore che gli studenti possano conoscere, sapere, porsi delle domande, ragionare con la propria testa. “L’ignoranza – scrisse Emil Cioran – è una condizione perfetta. Ed è comprensibile che chi ne gode non voglia uscirne”. Ma posto che ad alcuni piace possedere i libri solo per far ammirare i dorsi delle copertine, non c’è alcuna ragione per condannare alla “non conoscenza” anche il resto della società.

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