Si parla di ius soli, se ne è parlato tanto e chissà quanto se ne parlerà ancora.
C’è chi pensa agli italiani con cittadinanza italiana e chi pensa agli italiani con cittadinanza straniera, in una contrapposizione semplificata da slogan privi dei contenuti e delle variabili tecniche necessari a comprenderla (chi dice NO, a quale forma di ius soli si oppone? Incondizionato o condizionato? E chi dice SÌ, cosa vorrebbe? Davvero sappiamo rispondere a queste domande?).
Li ho chiamati tutti italiani. Una forzatura? Non credo.
Penso che dovremmo vedere la realtà con gli occhi dei nostri figli, che nemmeno capiscono dove stia il problema.
O meglio, spiegandoglielo, si stupiscono che tra i loro amici e compagni di scuola o di sport non tutti godano degli stessi diritti. Dovremmo anche spiegare loro che qualcuno in questi giorni ha detto che chi corre molto veloce, o salta molto in alto, la cittadinanza italiana (gli stessi diritti) la deve avere in fretta con l’attuale legge, evitando le penose lungaggini che comporta, per non rischiare che i suoi risultati ingrossino il medagliere di qualche altra nazione. E se invece sei un ragazzo normale? Se ti sei impegnato al massimo secondo il tuo talento in tutte le sfide della tua giovane vita, anche tu sarai cittadino italiano “a diciott’anni e un minuto”? Per alcuni anni ho lavorato in una residenza per anziani a Marghera, una delle zone – come è noto – a più alta densità di popolazione immigrata nella provincia di Venezia. Capitava spesso che dalla vicina scuola materna (allora si poteva), tenendosi per mano, alcune classi multietniche di bimbi meravigliosi venissero in visita con le loro maestre, per cantare ai nostri “nonni” le loro allegre canzoncine, anche in dialetto veneziano. Bimbi diversi, di diversa origine. Speciali, come tutti i bimbi.
Guardandoli pensavo… È solo questione di tempo.
Queste creature crescono insieme, giocano insieme, studiano insieme, sono e saranno amici. Nessuno di loro vedrà quello che vediamo noi: la differenza. È già accaduto in molte altre nazioni, più evolute e civili della nostra.
Quello che qualcuno si ostina a non volere, è già.
Cito un passaggio da “Esodo – Storia del nuovo millennio”, bellissimo libro di Domenico Quirico: “Abitanti di un mondo in declino, trepidiamo solo per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi, le civiltà al tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colori, di preghiera e furore. Il mondo di domani.”
È solo questione di tempo.