Mi sono astenuto da ogni commento (retorico) sul primo giorno di scuola. Perché m’interessa maggiormente quanto accade il secondo giorno e in quelli a seguire. Quando tutto diventa apparentemente routine, tutto appare scontato e ogni cosa viene tenuta in piedi, spesso con le doti degli equilibristi, dalle persone che ci lavorano: docenti innanzitutto, in parte ancora precari, il cosiddetto personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario) e dirigenti sulle cui spalle gravano responsabilità che negli ultimi tempi sono state ingigantite dall’emergenza sanitaria. Perché la scuola è anche “burocrazia”, un termine che ha assunto nel tempo un significato negativo, ma rappresenta tutto ciò che consente di far funzionare quotidianamente un’organizzazione complessa. La scuola non fa eccezione. È fatta di persone che, è bene ricordarlo, al di là dell’aspetto economico (che i docenti italiani siano tra i meno pagati d’Europa lo sappiamo da anni), non hanno nemmeno un riconoscimento sociale. Un fatto curioso, dal momento che sono le stesse persone a cui ogni mattina, non solo nell’emozione/commozione del primo giorno, affidiamo i nostri figli.
Questo sarà il terzo anno scolastico che dovrà convivere con la pandemia. Durante il primo abbiamo sperimentato e utilizzato per oltre tre mesi la didattica a distanza, misurato le potenzialità della tecnologia, ma soprattutto i suoi limiti educativi e in termini di apprendimento. L’anno scorso è stato quello del distanziamento e della mascherina in classe, quando qualcuno si è accorto per la prima volta delle classi pollaio, dell’insufficienza degli spazi per la didattica, della carenza di organico, delle risorse insufficienti per l’edilizia scolastica e di tutti quei problemi che le tante controriforme della scuola hanno lasciato senza soluzione. Questo, che anno sarà? Dipenderà da quello che saremo in grado di fare dal secondo giorno di scuola e da quanto l’istituzione saprà essere accogliente ed inclusiva, colmando quanto è andato perduto nei mesi scorsi. In gioco non c’è solo la qualità dell’istruzione, ma in fondo anche della democrazia.