Nel mese di ottobre ricorre il centenario della nascita di Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10.X.1921 – Conegliano, 18.X.2011), un poeta che più di ogni altro ha percepito fin dagli anni Sessanta del secolo scorso l’incrinarsi dell’equilibrio ecologico planetario e il «sadico scempio che si sta facendo della natura» e del paesaggio, anche e soprattutto della «soave terra veneta, dalle lagune alle Dolomiti, mangiata dalla lebbra» consumistica. Fu proprio lui, riconosciuto a livello mondiale come maestro di coscienza, ad antivedere, a causa di un certo progresso sordido e indifferente all’etica, quelle prime crepe che oggi sono state talmente approfondite e allargate da rischiare di portarci all’autodistruzione: In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o ingoio.
L’orto di Andrea Zanzotto
Sbancavamenti di pianure venete
e smottamponamenti di colline,
strappi di paesaggio, fessurazioni:
strabismi da far spalancare l’occhio
voyeur e ammiccare l’altro voyant.
Ah vuoti fienili ecloganti, ville
palladiane, gli splendidi edifizî
eretti su quattordici colonne,
declivî di rosai pedemontani
penduli sullo sfasciume dei prati,
ahi baracche d’Eternit,
ex orti in conversione d’uso fatti discarica
dove le vitalbe si danno alla macchia
e fanno prove di resistenza dietro (ahi)
capannoni con muri a vetrina antiproiettile,
tra cui celare fatica e profitti,
tirati a lustro per rispecchiarsi
l’un nell’altro, in concorrenza
(look-lucchetto nel Far Weneto),
(ahi) labbri di ferite oniriche
dove cova il sale del senso
l’arcobaleno dei fonemi:
eta verde
zeta indaco
theta bianco
téte de Maràntega / mammelle
di Mater Antiqua:
tét da ciuciàr / capezzoli
da succhiare: ecolalie:
ecologie: Natura: Naturans
et Naturata
denaturata
e snaturata
ma i bimbi-bambi vanno svezzati
a Galatine e Coca-Cola, di galateo
è buona norma che l’herpes dialettale
sia cauterizzato con italiano televisivo
cicatrizzato con cenere di réclame
liftato d’englisoide.
Nella macchia boscosa di Rorschach
riconosco segni senza significato,
dei colori vedo solo un giallo (di topinambùr?)
e il rosso di cinorrodi,
e dietro le spine || puntura
la sovrimpressione || fessura
dell’occhio mio, così acutamente presbite.
A fine ottobre “L’orto di Andrea Zanzotto” sarà pubblicata nella silloge Corrispondenze dal roseto boreale, a cura del Premio “Renato Giorgi” e qudulibri. In essa Pier Franco Uliana raccoglie trentaquattro epistole di poeti, tra i maggiori del panorama mondiale (da Pound a Eliot, da Rosselli a Plath…) e ormai defunti, inviate ai posteri. Una sorta di nuovo Spoon River antimelodico che ci ricorda come ormai nel roseto poetico sempre più sono le spine del reale e meno le rose dell’ideale.
(nota della Redazione)