Perché dovremmo votare per il referendum sull’abolizione della caccia? Le motivazioni, secondo me, sono molte. Comincio da una molto generale: l’affluenza alle elezioni è in declino ormai da anni, dunque qualsiasi iniziativa che possa favorire la democrazia diretta dovrebbe essere ben accolta (il movimento Extinction Rebellion, ad esempio, propone l’istituzione di assemblee cittadine per trovare soluzioni giuste, condivise ed efficaci contro la crisi climatica ed ecologica).
Questo anche perché, qualunque sia l’esito finale, un referendum stimolerebbe l’opinione pubblica ad una riflessione e a un dibattito potenzialmente fertili, e può incentivare un miglioramento della legislazione sul tema della caccia, anche se non si arrivasse ad una sua completa abolizione.
Veniamo ora ad aspetti più concreti. Per decidere se la caccia nel nostro territorio debba continuare o meno, mi soffermerei su una riflessione: chi è, oggi, il cacciatore?
In molti lo dipingono come una persona di grande sapienza e sensibilità verso l’ambiente naturale, in grado di interpretarne anche i segni più riposti, protagonista dell’atavico equilibrio tra predatore e preda, tra sopravvivenza e sconfitta. Insomma, secondo questo ritratto il cacciatore oggi sarebbe più rispettoso dell’ambiente di ogni abitante delle città moderne.
Secondo me è un ritratto magari non del tutto fittizio, ma decisamente distorto: quantomeno perché non ritrae la stragrande maggioranza dei cacciatori. Questi, infatti, seguono la stessa logica estrattivista di chi l’ambiente lo distrugge. Mettono il proprio divertimento prima del bene comune. Sono indifferenti alla distruzione della vita. Non comprendono a fondo l’importanza degli equilibri naturali. Ne è un chiaro esempio la pressione che anche qui in Veneto la lobby dei cacciatori esercita sulla politica: nel nuovo piano faunistico venatorio (anche in alcune delle aree sotto la tutela natura 2000 è consentito cacciare) e in regione ci si muove per eludere le prescrizioni del Tar che limitavano la caccia di alcune specie minacciate. Il classico strapotere di pochi che va a danno di tutti, così come accade per il problema della cementificazione.
Dovremmo capire che la caccia che si pratica oggi non ha nulla a che fare con quella, ad esempio, dei popoli indigeni di Africa o Sudamerica, o con quella dei nostri antenati. Non tanto perché usiamo le doppiette invece di arco e frecce, quanto perché si caccia in un territorio dove gli habitat naturali sono diventati solo frammenti isolati, e la fauna selvatica subisce già innumerevoli stress e minacce, dalla crescente urbanizzazione alle specie invasive, dall’agricoltura intensiva agli incendi.
Avremmo molto su cui riflettere, discutere, proporre. Un referendum non può che facilitare le cose.
Invito a leggere le parole che Henry David Thoreau scrisse a metà dell’Ottocento, sono di una saggezza sconfinata:
“E’ vero, egli [l’uomo] può vivere, e vive in effetti, per lo più depredando gli altri animali; ma questo è un miserabile modo di vita – come può ben convincersi chi vada a mettere trappole ai conigli o a sgozzare gli agnelli – e sarà considerato benefattore della sua razza colui che insegnerà all’uomo di limitarsi a un cibo più innocente e più sacro. Qualunque possa essere la mia consuetudine, non ho dubbio che appartenga al destino della razza umana, nel suo graduale miglioramento, smettere di mangiare animali, allo stesso modo che le tribù selvagge hanno smesso di mangiarsi l’un l’altra quando vennero in contatto con le più civili. ”
Da “Walden, ovvero la vita nei boschi”.