Sono Abeona. La dea accompagnatrice degli emigranti. No, non la protettrice, non sono io che li aiuto, non è quello il mio compito. Non è che non voglia, capiamoci, ma non ho questo potere.
Però li accompagno. E potrei parlare di loro all’infinito: dagli inizi del fenomeno, nei vari secoli, fino a oggi.
Ma non basterebbe un racconto, nemmeno dieci a dire la verità, e non basterebbe mai il tempo per raccontarlo a voi. E voi vi annoiereste prima che io finisca.
Qualcuno di voi si potrebbe contrariare; altri hanno troppo da fare per stare a sentire discorsi che non li toccano; ai lettori più vecchi potrei riaprire ferite mai chiuse, ricordando i sacrifici, i pericoli, quando anch’essi sono dovuti andare a cercare un futuro diverso, avendo sempre in mente le persone care che hanno dovuto lasciare; ricorderei il loro doversi dividere tra gli amori della gioventù e la necessità di trovare qualcun altro per farsi una nuova vita. Ricorderei il cuore diviso a pezzi, in un paese sconosciuto.
Ricorderei la nostalgia che li prendeva per la propria terra, del suo diventare, ogni giorno che passava, più potente, tanto che verso la fine dei loro giorni fanno i bagagli per tornare a respirare l’aria che tanto bramavano in terra straniera, magari rendendosi conto con rammarico, una volta laggiù, che nulla è più come prima.
Adesso arrivo al dunque. Vi chiedo scusa se ho divagato.
Il mio compito è raccontarvi dei sogni di un emigrante, per questo motivo li accompagno nel loro viaggio. Appena qualcuno decide di partire, io devo essere lì fin dai preparativi. Perché per iniziare il viaggio, un emigrante deve prepararsi, e non è la solita valigia. Per cominciare questa strada piena di aspettative e difficoltà, prima di tutto ci vogliono dei soldi, tanti…
Aspettate, per chi non capisce un’acca di quello che sto dicendo, perché non si è mai mosso da dove è nato, forse è meglio che prenda un esempio concreto. La storia che voglio raccontare è quella di due giovani che partono dal Ghana.
Sono sposati da poco, economicamente non stanno male, hanno pure una casa, ma la situazione politica non è tra le migliori, scusate l’eufemismo, là si rischia la pelle ogni giorno.
Hanno sentito che andare da qualche parte, in Europa, è la salvezza, il paradiso.
Giovani pieni di sogni, vendono la casa, il loro nido, e partono con altri come loro.
La strada, come dicevo, è lunga, piena di pericoli. Se dai racconti di qualche amico avevano già sentito tutto, adesso lo stanno verificando con i loro occhi: è proprio dolorosamente diverso.
Dal Ghana arrivare fino in Libia non è affatto una passeggiata. La prima parte è abbastanza facile, arrivano fino in Niger, più precisamente a Niamey. C’è acqua, ci sono le strade, non devono soffrire né la fame, né la sete.
Il viaggio si fa più duro quando devono attraversare il deserto del Sahara, per capirlo non serve troppa immaginazione, ma alla fine arrivano al porto di Misurata, sulla costa libica.
L’indomani, quando il Mediterraneo sarà più tranquillo, partiranno. Sono felici di essere arrivati fino in Libia.
Il pericolo lungo la strada è stato altissimo, il rischio di essere venduti come carne da macello è dietro l’angolo. Non è un modo di dire: hanno visto con i propri occhi compagni di viaggio spariti non si sa perché, ma loro immaginano i motivi: gli organi umani hanno un valore, nessuno si fa scrupoli.
Hanno imparato a farsi i fatti loro. Stanno sempre attaccati per evitare qualsiasi spiacevole imprevisto. In più, lui è un giovane forte, nel suo paese faceva pugilato, quindi forse agli accompagnatori conviene tenerlo più come amico che come nemico piantagrane.
E l’indomani arriva. Basta poco per toccare il cielo con un dito, il loro sogno sta per diventare realtà. Lui abbraccia forte la sua giovane moglie, i loro occhi si illuminano.
«Amore, ce l’abbiamo fatta. Domani saremo in Italia. Poi magari, con un po’ di fortuna potremo spostarci in Francia, dove non c’è tutto questo flusso di immigrati.»
Ha un amico lì che li ospiterebbe volentieri. Lei è stanca, ma felice per le prospettive che li aspettano. Danno l’ultima rata dei soldi agli organizzatori e salgono su un gommone largo e lungo. Con loro hanno pochi vestiti, un po’’ di cibo, il necessario per arrivare a destinazione.
Non serve altro. Ormai ci sono. Il gommone parte.
Lei ha un brivido di paura, ma lui la stringe a sé per rassicurarla. Sorride la sua donna donandogli la luce di quelle perle d’avorio tra le labbra che tanto lo fanno impazzire, con quegli occhi scuri, rare gemme nere che brillano d’amore per lui.
Si abbracciano ancora.
«Tra poco ci siamo.» Le sussurra.
Lei annuisce. Sono sul gommone, non si sa da quante ore. Da lontano si vedono le luci di un paese.
«Quella è l’Italia.» Annuncia qualcuno.
Si mettono ad applaudire.
«Buoni!» Ammonisce uno degli accompagnatori e loro cercano di placare l’entusiasmo. Ancora poco e ci sono.
Oltre alle luci del paese, ne scorgono altre che si muovono, sull’acqua, vicine. È una motovedetta della guardia costiera, che corre verso di loro a gran velocità. Il suo compito è di tenerli fuori dalle acque territoriali. Sentono ordini urlati da un megafono ma non li comprendono.
Vedono gli scafisti agitarsi, cominciano a parlare a voce alta. Fanno una telefonata dai toni molto concitati. Ordinano a tutti di scendere, di buttarsi in acqua perché tanto il porto è lì vicino e ci arriveranno a nuoto tranquillamente.
Qualcuno si oppone. Nell’aria volano parolacce, insulti.
«Buttati, cazzo, buttati! Se non lo fai, finiamo male tutti. Fai come dico io. Loro sono già là che ci vedono, si accorgeranno che vi abbiamo buttati in acqua, verrà subito la guardia costiera a portarvi sani e salvi sulla terraferma.»
Non c’è scelta, ubbidiscono, nonostante un vento fortissimo agiti il mare. Le onde sono alte. L’acqua è fredda. Uno non vuol sentire ragioni, si è aggrappato al bordo del gommone ripetendo di continuo che non sa nuotare. Lo colpiscono dietro alla nuca. Cade in acqua con gli altri. Forse sarà vivo: il freddo, la paura e la botta in testa lo paralizzano. Il motore del gommone si riaccende. Come un cane rabbioso, intaglia il silenzio della notte. Sparisce.
La nostra coppia nuota assieme. Lei ha freddo, comincia a digrignare i denti. Anche lui ha freddo, ma non lo vuol far vedere.
«Amore, appoggiati a me. Tra poco ci verranno a salvare, lo hanno detto anche gli scafisti.» La moglie fa come le dice il suo uomo.
Lui nuota per tutti e due, vogliono sconfiggere il tempo, vincere contro le onde, vincere il destino.
Dall’altra parte, la guardia costiera chiede istruzioni su cosa fare. Il governo deve decidere. Non possono sbarcare in Italia, non c’è posto. Gli immigrati sono troppi, i centri di accoglienza sono già pieni.
«Non c’è tempo, capo. Sono stati buttati in acqua. Il gommone è sparito…» continua la voce della motovedetta per radio.
A quel punto arriva il permesso di intervenire. Non possono lasciarli morire.
Salvano qualcuno, non se ne vanno a mani vuote… controllano nel buio della notte, cercando altri, ma non si vedono. Girano a vuoto intorno. Nulla.
Dov’è la nostra coppia? È qui, davanti a me. Lei è diventata blu dal freddo, e anche lui. Sapete dove si nasconde il pericolo nell’acqua gelida? Che più stai fermo, più hai freddo, fino a ghiacciare del tutto. I muscoli si irrigidiscono, pian piano ti abbandonano. Non riesci a comandarli.
Lui voleva arrivare in terraferma a tutti i costi. L’aveva promesso alla sua amata, era un uomo d’onore, doveva mantenere la parola. Nuota e nuota all’infinito. Non si arrende. Le parla. Lei non sente. O forse sente, ma non può rispondere. Ormai il freddo l’ha intorpidita del tutto. Lui lotta, lotta per tutti e due, finché le forze non l’abbandonano. Allora decide di fermarsi, con lei tra le braccia. Riprenderà il viaggio quando si sarà riposato un po’. Le palpebre si chiudono, le labbra si posano con un tenero bacio su quelle fredde della moglie. Dagli occhi cadono gocce salate che si mischiano all’acqua del mare. «Dormi amore,» le sussurra senza voce «domani uscirà il sole e potremo riprendere il nostro viaggio.»
Ma la sua amata è già partita per il viaggio nell’aldilà e lui la vuole accompagnare. Insieme, nella buona e nella cattiva sorte, era il loro giuramento.
Guarda le luci del porto italiano. Sono vicine, ma non più per lui, non più per loro. Chiude gli occhi stanchi. È l’ultimo gesto che riesce a compiere. Il resto del corpo lo ha abbandonato da molto. Viaggia nei sogni. Loro due eternamente insieme, in un paese che non è Italia, non è nemmeno la Francia, né Spagna, né…
È tutto così bello. La gente è disponibile, li aiutano. Curiosi, chiedono da dove vengono, come mai si trovino lì. Chiedono a lui, chiedono a lei… un sorriso malinconico si accende sul suo viso. Ha realizzato il sogno proprio un attimo prima di morire. Viaggia, nuota felice in un mare calmo e caldo, a pochi centimetri dalla superficie, con la sua giovane moglie.
Sorridono entrambi per farvi partecipi della loro felicità stroncata.
La vedetta della guardia costiera continua a cercare altri da salvare, o almeno da poter seppellire sulla terraferma. In quel momento delle onde giganti formano un riparo intorno ai loro corpi ormai senza vita. Li nascondono alla vista dei ricercatori.
Il mare in quel punto si agita tanto. Le onde sbattono con così tanta forza, indignate di dover essere strumento di una morte così assurda nel ventunesimo secolo, formando un lenzuolo bianco che copre i loro corpi.
Mattino. Esce il sole. Il vento si ferma. Il mare è calmo. Se osservate bene, forse vedrete che c’è un posto, proprio tra le onde, poco lontano dalla costa. Un posto strano dove i flutti sembrano sollevarsi più in alto, come le pareti di una stanza. Una stanza immensa, senza soffitto, un tempio a cielo aperto. E al centro ci sta un lenzuolo bianco fatto di schiuma di mare. Quando il vento smuove il lenzuolo, riuscirete a scorgere due corpi abbracciati. Hanno gli occhi chiusi, ma i volti sono sereni, sorridenti. Non cercate di portarli via da qui, le onde, che sono loro custodi e protettrici, non ve lo permetterebbero, non adesso, non per placare i vostri sensi di colpa. Quindi vi prego: lasciateli dormire in pace in questo sonno di morte.