È difficile descrivere la multiformità della voce di Nicola Pulvirenti degli: “Emily Sporting Club”, le sue modulazioni spaziano tra sonorità fonde apparentemente lineari, ma in realtà costantemente in bilico tra il parlato e l’imprevedibilità delle estensioni sonore. Senza mai scadere in certi semplicismi troppo scontati nel loro essere più o meno volutamente accattivanti. Per saperne di più, soprattutto rispetto al lavoro svolto sui testi da lui scritti e assolutamente e volutamente ispirati ad “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
“Amo l’immediatezza del linguaggio – puntualizza- e in questo lavoro credo di avere fatto del mio meglio, perché ho preso in considerazione le inevitabili difficoltà che incontri quando hai a che fare con uno scrittore di una certa levatura, che più di altri è riuscito a fotografare la generazione degli anni ’80. La prima cosa che mi ha colpito, benché fossi più giovane di lui, è stato constatare la totale assenza di uno scarto generazionale, e la freschezza con cui anche geograficamente (sono di Reggio anch’ io) mi sono ritrovato nella sua stessa realtà. Scrivere entrando nel mondo delle sue sensazioni è stato un modo per apprezzare la straordinaria comunicativa che Tondelli aveva con il mondo giovanile. D’ altra parte la voglia di vivere e la trasgressione sono valori senza tempo. Ho cercato di calarmi dunque nel contesto tondelliano in toto, ma per il resto sono andato a ruota libera, affidandomi al mio istinto e alla mia creatività.
A quale testo sei più legato tra gli altri che hai composto?
E’ sempre una risposta difficile, perché c’ è tanto di Tondelli, ma c’è anche molto di me, il primo brano che mi viene in mente è “Boy”, poi amo molto quando si parla degli interail . Per il resto credo che un po’ tutti i brani penetrino a fondo di chi li recepisce per via della sensibilità di Tondelli e di questo suo romanzo che nella sua teatralità si muove con un linguaggio “sporco” e incline al tempo stesso alla sublimazione.
Quali sono state le difficoltà che hai incontrato, come cantante, rispetto alla performance teatrale.
Ho avuto un periodo in cui ho lavorato in modo amatoriale per il Teatro, ma mi piaceva l’idea di potere lavorare in uno spettacolo che toccasse tanto l’aspetto teatrale, quanto quello visivo. In questo contesto il regista Gabriele Tesauri ci è stato di grande aiuto, perché ha bilanciato la parte musicale con un ottimo senso della scenografia, molto bella la soluzione della la band che si muove dietro un telo, e gli attori che recitano le parti più significative del testo.
Veniamo ai testi a cui stai lavorando di recente.
Di recente come Emily sporting Club abbiamo fatto un pezzo che parla delle pandemia, “ Sospesi nella luce di Hyades”, pubblicato per il CD del “Collettivo Mario Rossi”, un brano molto rarefatto e tendente alla sublimazione, siamo in un ambito più meditativo e introspettivo, io sono più vicino a questo modo di scrivere che alla cruda scrittura di Tondelli e “Sospesi nella luce di Hyades” vuole essere un brano in bilico tra mito e scienza, intendiamoci la scienza resta fondamentale, perché forse in modo poco punk ci fa fare tesoro di ciò che comunque la scienza ci offre se ci pensi bene anche il contrastare la scienza, può essere un modo per accettarla. La critica serve ad accettare in modo più completo quello che hai messo in discussione e comunque a dare delle risposte positive.
Siete in fase progettuale per proporre una versione in acustico di “Altri libertini”. Due diverse modalità di scrittura:
Io mi sono abituato nel tempo a fare l’uno e l’altro, le difficoltà vengono sciolte, nel momento in cui ti trovi in sintonia con i tuoi compagni di palco, se accade le difficoltà diventano armonia e allora tutto diventa funzionale, creativo e divertente.
Quali sono i tuoi gusti letterari. A parte Tondelli.
Sono un divoratore di classici, e di saggi, amo molto Dante a prescindere dalle celebrazioni, anche lui ha molte cose da dire anche riguardo alla scienza, perché la poesia è scienza, anzi forse la anticipa, perché parla il linguaggio del mito. Il canto che mi piace di più è il XXXIII quello del Conte Ugolino, tragico feroce e drammatico al punto giusto e con un senso molto evocativo delle parole in funzione dell’immagine. Ma va detto che siccome questo è un periodo in cui Dante è inevitabilmente da tutte le parti, preferisco ascoltarlo nelle versioni di Benigni, Gassman e Carmelo Bene. Del resto, che in questo momento viene prodotto e sta circolando per via del settecentenale dantesco mi riservo di pronunciarmi più in là.