In questi giorni, mentre pensavo all’escalation che sta subendo la guerra in Ucraina, mi è ritornato in mente un filmato che ho portato in giro, in occasione delle presentazioni del mio più recente romanzo Dragan l’imperdonabile: una breve intervista a Zvonimir Boban, l’asso centrocampista della Dinamo di Zagabria. Allora il giovanotto aveva vent’anni. In occasione della partita tra la sua squadra e la Stella Rossa di Belgrado, allo stadio croato erano successi degli incidenti, addirittura fomentati dalla polizia presente, connivente con gli hooligans serbi. Correva l’anno 1990 e precisamente il 13 di maggio. Boban aveva reagito alle provocazioni, sferrando un unico calcio, ma da campione, ad un energumeno. Spiegando l’accaduto, Boban aveva giustificato così il suo gesto che poteva costargli molto caro: “Reagii da uomo, dal punto di vista cristiano… Gesù dice di porgere l’altra guancia se qualcuno ti colpisce. Non ha detto cosa fare se qualcuno ti colpisce su tutte e due le guance.”
La reazione alla provocazione intenzionale era stata una delle anteprime per la sanguinosa guerra consumata in Bosnia-Erzegovina, con tutti i massacri, i genocidi, l’orrore che sappiamo. L’intervento tardivo, ma a quel punto utile, della NATO era stato implorato addirittura dallo stesso Alexander Langer, l’irriducibile pacifista deluso dalle unghie spuntate della diplomazia. La situazione per certi aspetti è analoga, ma molto diverse sono le condizioni di base.
E qui veniamo al punto sull’Ucraina: sono stati documentati i massacri perpetrati dalle forze di Putin, anche in dispregio della carta delle Nazioni Unite. Occorre fare qualcosa. L’articolo 51 recita testualmente:
“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. (omissis)”.
Ma tutto si complica all’ONU, visto che la Federazione Russa è uno dei 5 membri stabili del consiglio di sicurezza, dunque con diritto di veto praticamente a qualsiasi iniziativa di interposizione bellica.
Oggi un sostenuto dibattito dilania l’Italia, per stabilire se sia opportuno e fin dove può spingersi l’aiuto armato del nostro Paese all’Ucraina. Il supercitato articolo 11 della Costituzione recita che:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Sostiene il noto costituzionalista Sabino Cassese, citato da La Stampa, che fornire armi “comporta dare strumenti alla popolazione ucraina per difendere la loro vita. Si può pensare che non sia legittimo l’uso della forza in difesa dei diritti dell’uomo e della sua sopravvivenza?”
Questo dibattito ci porterebbe facilmente a sostenere tesi che avallano l’invio di armi per contrastare la superpotenza russa, ma sono fondate anche le tesi dei pacifisti più irriducibili che aborriscono questa soluzione.
Per quanto mi riguarda ho più volte espresso il modesto parere che, dopo aver esperito tutte le vie diplomatiche possibili e senza stancarsi mai di riprovarci, un aiuto militare all’aggredito abbia una sua profonda motivazione umana.
Il discrimine di oggi è però circa un altro dei fili di lana caprina che vengono intessuti: è opportuno inviare armi difensive, ma non offensive. Su questo punto, posto che esistano armi solo difensive, possiamo concordare in molti…
Il problema che si registra è il tentativo, da parte delle forze direttamente o indirettamente in conflitto, di voler “vincere” urgentemente la guerra. E questo è un trabocchetto nel quale rischiamo di cadere. La guerra va fermata quanto prima possibile, ma non è pensabile una soluzione che non sia compromissoria. Sta bene mettere in condizione la Russia di non sopraffare la resistenza ucraina, ma non dobbiamo strafare, ritenendo in un delirio di potenza che il debordare della guerra su suolo russo porti a una scorciatoia verso la pace.
Il governo inglese, attraverso il sottosegretario alla difesa Difesa James Heappey ha sostenuto recentemente che “sarebbe accettabile per le forze ucraine utilizzare armi occidentali per attaccare obiettivi militari sul suolo russo”. È una posizione ineccepibile sotto il punto di vista teorico di strategia militare: cioè è plausibile pensare di indebolire le retrovie della casa madre e tagliare i rifornimenti alle truppe russe. È ineccepibile anche secondo quel principio di giustizia che risale al codice dell’antica Babilonia, detto di Hammurabi, milleottocento anni prima di Cristo: occhio per occhio, dente per dente.
Ma dal punto di vista pratico, nel caso specifico, sarebbe come girare la chiave micidiale per innestare una reazione russa contro le basi europee da cui partono i rifornimenti all’Ucraina…e la giostra mondiale avrebbe inizio ufficialmente.
All’inglese impulsivo, Putin ha risposto: “Devono sapere che ci sarà una risposta, e sarà rapida. Abbiamo strumenti che nessuno ha e li utilizzeremo, se necessario. Voglio che tutti lo sappiano” Solo una settimana fa è stato testato il nuovo missile intercontinentale Sarmat. Soltanto nel gioco del poker è ammesso valutare se si tratti di un bluff. Agli statisti conviene invece lavorare contemporaneamente, senza scorciatoie, ai tempi lunghi del logoramento economico della Russia e favorire l’azione sul campo degli ucraini, aiutati con armi anche occidentali, ma senza farsi coinvolgere in azioni aggressive in suolo russo. Troppo grave sarebbe immischiarci in un conflitto aperto tra la Nato e la Federazione russa che non risparmierebbe nessuno.
Questa è una posizione che ha dei risvolti di evidente ambiguità, ma è il meglio che possiamo permetterci, realisticamente, in un clima avvelenato come l’attuale: chiunque avvertirebbe il bisogno istintivo e sacrosanto di fare come il cristianissimo Boban e punire severamente con un calcio il cattivo di turno. La storia ci insegna che la fretta, però, è una cattiva consigliera. Purtroppo ci attendono lunghe stagioni di sacrifici e in Ucraina di vite spezzate o da ricostruire. Intanto continuiamo a sperare che le azioni congiunte a livello mondiale diano i propri frutti. Vale la pena sperare. In questo caso la pazienza cinese ci sia maestra.