Fosse per me, farei pagare i 300 milioni che, come riportato da alcune testate, sono serviti per allestire i referendum di domenica scorsa, a chi di questi referendum fallimentari si è fatto promotore. E, si badi bene, la cosa va oltre il fatto politico. Mi sono documentato poco, se devo essere sincero, ma mi è bastato un intervento di un esperto ad un evento a cui ho partecipato per farmi rendere conto dell’assurdità dei quesiti stessi. E, pur indeciso su cosa fare, ho optato per non andare a votare, per la prima volta nella mia vita, per evitare che si raggiungesse il quorum (se fossi andato, avrei votato 5 no).

Ora, dopo aver visto che l’affluenza si è attestata attorno al 20% a livello italiano, pur coincidendo il referendum con una tornata elettorale piuttosto importante, almeno in alcune città, posso dire di aver fatto la scelta giusta, perché credo che il cittadino medio pensi che sia il Parlamento che deve legiferare sulla giustizia, avendo ben presente cosa la Costituzione prevede e perché prevede che l’ingranaggio sia congegnato in tal modo.

Credo che al cittadino medio importasse molto di più, come si è visto a seguito delle due imponenti raccolte firme promosse dai comitati promotori, andare a votare su due temi estremamente più attuali e più sentiti, ossia l’eutanasia legale e la depenalizzazione della coltivazione “casalinga” della cannabis e l’eliminazione di alcune sanzioni connesse, ma la Corte Costituzionale li ha bocciati.

Non ho la preparazione per disquisire sulla promozione o bocciatura dei referendum, ma posso commentare che i referendum sulla giustizia che sono stati accolti, cinque su sei, non hanno evidentemente incontrato il favore popolare poiché troppo lontani dal sentire comune del cittadino medio. Gli altri due, che evidentemente possono andare bene ad alcuni come meno bene ad altri, avrebbero invece sicuramente posto quesiti molto più importanti ai cittadini che avrebbero potuto dare la loro risposta alle urne.

Per andare avanti abbiamo bisogno di ripensare ai temi davvero importanti che questi due anni di pandemia ci hanno portato all’attenzione in modo assolutamente rilevante, come ad esempio il salario minimo, il reddito di cittadinanza, il reddito alimentare, la cura della salute mentale, oltre che di poterci esprimere su temi che, evidentemente, sono sentiti dalla popolazione.

In particolare mi soffermo sull’eutanasia legale, che posso paragonare al diritto al divorzio ed all’aborto: nessuno ci obbliga a doverla praticare su una persona cara, ma è una possibilità che una persona può avere a disposizione nel caso in cui, per le più svariate ragioni, si trovi nella condizione di non poter più sopportare le indicibili sofferenze dovute ad una malattia degenerativa, ad una condizione di disabilità acquisita o alle conseguenze di eventi di salute che hanno portato la persona a non poter più fare alcunché.

Se ci si pensa, non è poi diverso dall’avere il diritto a lasciare una persona con la quale non ci si trova più bene o a decidere di non tenere un figlio entro i limiti imposti dalla legge: io la chiamo questione di civiltà ed umanità, che è ciò che fa dell’uomo una persona capace di empatizzare con la situazione altrui. Ma, evidentemente, a volte si preferisce sorvolare o non agire abbastanza su temi importanti o importantissimi che dare la possibilità a chi ha una visione diversa della vita di viverla secondo i propri parametri, ovviamente sempre nei limiti di un’etica comune.

Per concludere, credo fortemente che il flop referendario di domenica 12 giugno ci insegni, ancora una volta, come il distacco tra il cittadino e le istituzioni sia a volte incolmabile e fonte di rabbia e di rancore, non causati da un’avversione fine a se stessa, quanto piuttosto da una incapacità di leggere le priorità di una società che, inevitabilmente, progredisce ed è sempre più propensa ad accettare cose che nel passato non avrebbe accettato.

Non posso non fare un ultimo pensiero al tanto discusso DDL Zan, che dovrebbe essere riportato al centro dell’agenda perché, lo si voglia o no, la discriminazione esiste, è evidente, a tratti feroce e contempla anche l’oblio; pensiamo all’ultimo tristissimo caso di un’insegnante bellunese che, avendo deciso di vivere la propria vita per come sentiva di essere e senza voler fare male a nessuno, è stata oggetto di un’avversione tale che ha scelto di togliersi la vita, in completa solitudine, proprio come sola era stata lasciata dalla società.

Federico Faggian
Nato a Treviso il 02-06-1981. Laureato in Lingue a Ca’ Foscari, specializzato alla SSIS Veneto. Insegnante di spagnolo in una scuola superiore di Treviso. E’ stato presidente del quartiere Ovest-Ghetto e collaboratore de L’Eco di Mogliano; è consigliere di un’importante realtà associativa locale, il CRCS Ovest-Ghetto. Impegnato da molti anni in città nel mondo dello sport, dell’associazionismo volontario e della cultura.

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