C’era una volta un bel libro di ripetute disavventure, invece intitolato le Avventure di Pinocchio; tra i mille e mille significati sottintesi, vi si può intravvedere anche l’eterno tranello in cui, metaforicamente, cade e ricade un popolo, avvicinandosi le elezioni: tende a illudersi delle promesse della Volpe e del suo sodale, il Gatto. In particolare, malgrado evidenti fregature subite, preferisce credere ogni volta a quella baggianata di aver, lì pronto, un campo miracoloso ove accrescere esponenzialmente, in un baleno e finalmente senza sacrifici, il proprio tenore di vita con la prodigiosa moltiplicazione dei propri quattro miserabili zecchini. Questo specifico e abusato accostamento alla favola non è certo frutto, evidentemente, di un mio parto intellettuale creativo, ma trovo utile andare a rileggere il passo originale, non fosse altro che per desiderio di infantile leggerezza:
…
— E pensare che, invece di quattro monete, potrebbero diventare domani mille e duemila! Perché non dài retta al mio consiglio? Perché non vai a seminarle nel Campo dei miracoli?
— Oggi è impossibile: vi anderò un altro giorno.
— Un altro giorno sarà tardi! — disse la Volpe.
— Perché?
— Perché quel campo è stato comprato da un gran signore e da domani in là non sarà più permesso a nessuno di seminarvi i denari.
— Quant’è distante di qui il Campo dei miracoli?
— Due chilometri appena. Vuoi venire con noi? Fra mezz’ora sei là: semini subito le quattro monete: dopo pochi minuti ne raccogli duemila e stasera ritorni qui colle tasche piene. Vuoi venire con noi? ―
Pinocchio esitò un poco a rispondere, perché gli tornò in mente la buona Fata, il vecchio Geppetto e gli avvertimenti del Grillo-parlante; ma poi finì col fare come fanno tutti i ragazzi senza un fil di giudizio e senza cuore; finì, cioè, col dare una scrollatina di capo, e disse alla Volpe e al Gatto:
— Andiamo pure; io vengo con voi. ―
E partirono.
Dopo aver camminato una mezza giornata arrivarono a una città che aveva nome «Acchiappacitrulli.» Appena entrato in città, Pinocchio vide tutte le strade popolate di cani spelacchiati, che sbadigliavano dall’appetito, di pecore tosate, che tremavano dal freddo, di galline rimaste senza cresta e senza bargigli, che chiedevano l’elemosina d’un chicco di granturco, di grosse farfalle che non potevano più volare, perché avevano venduto le loro bellissime ali colorite, di pavoni tutti scodati, che si vergognavano a farsi vedere, e di fagiani che zampettavano cheti cheti, rimpiangendo le loro scintillanti penne d’oro e d’argento, oramai perdute per sempre.
In mezzo a questa folla di accattoni e di poveri vergognosi, passavano di tanto in tanto alcune carrozze signorili con dentro o qualche volpe, o qualche gazza ladra, o qualche uccellaccio di rapina.
— E il Campo dei miracoli dov’è? — domandò Pinocchio.
— È qui a due passi. —
…
Chi oggi impersona la vecchia Volpe, oggi biascicante per motivi anagrafici, ci accoglie al televisore, promettendo per l’ennesima volta un Miracolo economico italiano. Tra le ricette per ottenerlo: una flescc tascc (leggi correttamente flax tax) in grado di abbattere le tasse per tutti, e poi magari tutti in spiaggia (al Papeete?) a ballare felici. Che ci vorrà mai? La vecchia Volpeberlusconi ipotizza una tassa per tutti al 23%, ma il Gattosalvini rilancia al ribasso in concorrenza (s)leale con l’alleato: 15%; perché promettere non costa niente. E poi lui tiene anche il rosario in mano che ci protegge tutti. Dove sta il problema? Basta votarli e poi loro, i sedicenti vincitori, faranno la legge che ci mette a posto.
Banalizziamo con un esempio: oggi le tasse si pagano (o meglio le pagano gli onesti) secondo progressività. Secondo la Costituzione chi ha più soldi, paga di più. Le percentuali di tassazione oggi vanno dal 23 al 43%: se la proposta fosse quella di portare tutti al 23, fatevi due conti. Chi avrebbe più vantaggi? Ovvio, i più ricchi. È una proposta assurda, perché è come sotterrare i quattro zecchini, se non si dice anche chi pagherebbe il conto dei servizi (ospedali, pensioni, scuole, strade, servizi sociali, aiuti alle famiglie, debito pubblico, eccetera) che uno stato moderno sostiene.
Da qualche altra parte il pozzo delle entrate il pozzo va alimentato, altrimenti si secca e sono guai. La proposta di Gattosalvini, col suo rilancio al 15%, per essere più competitivo del suo socio, rasenta addirittura l’incoscienza colpevole. Anche perché si sa dove si annidano gli evasori potenziali: non certo nel bacino di quel ceto “a reddito fisso”. E l’evasione per recuperare risorse bisognerebbe sì affrontarla, ma nei fatti occorre stare attenti a tutelare gli amiconi da quella che stoltamente chiamano persecuzione fiscale.
Abbiamo già sperimentato i governi di Volpeberlusconi e compagnia cantante del centrodestra. Non sono accaduti miracoli: anzi nel 2012 eravamo giunti al limite della bancarotta del paese, con lo spread che arrivava a 528 punti. Oggi è di circa 207 punti. Evito, per brevità, di fare qui un noioso conteggio tecnico dettagliato, ma in sintesi significa che spannometricamente il nostro debito ci sarebbe costato qualcosa come oltre 12 miliardi in più ogni anno di interessi. Cioè: insostenibile. Le dimissioni sollecitate del governo e la successiva cura da cavallo Monti che non è piaciuta a nessuno (e specialmente la connessa manovra Fornero sulle pensioni) furono la risposta dura per riprendere le redini di un cavallo che stava trascinando nel burrone il carrozzone Italia, tra i lamenti e gli ammonimenti dei partner europei (gli stessi che oggi ci concedono oltre 200 miliardi di PNRR).
Trovo perciò irricevibile e insidiosa la proposta politica a cui si riferisce l’alleanza di destra; non mi trova allineato neppure sul piano affettivo, oltre che ideale: mentre guardo a un’Europa coesa e democratica, essa inneggia a dei campioni politici discutibili.
Il cocktail di Meloni e Salvini con un pizzico di Berlusconi non è un’innocua alternativa di voto, da provare con la leggerezza di un gusto nuovo: può dare definitivamente alla testa.
Non basta parlare di democrazia, se gli amici sono Orbàn e Putin, o l’inquisibile Trump. Non basta giurare la salvaguardia dell’ambiente, se si va a ricevere con tutti gli onori il depredatore della foresta amazzonica Bolsonaro o se si hanno tra le proprie fila onorevoli esponenti oltranzisti che lascerebbero volentieri cacciare persino nelle oasi faunistiche; non basta proclamare la difesa della libertà personale da derive autoritarie, se si propugna una politica, che nell’anno 2022 vuol riavvolgere le conquiste sociali e tratta da reietti i gay, oppure le donne che difendono il proprio diritto all’aborto, e si va in Spagna a sostenere la destra più estrema del partito Vox.
A quale futuro potremmo pensare con questa gente al potere, in una società demograficamente impoverita, che vorrebbe isolare a cannonate le nostre frontiere? Che non riconosce come italiani i giovani perbene, nati e cresciuti qui da genitori stranieri? Gli Stati Uniti sarebbero implosi su se stessi se avessero creduto al messaggio delirante del Ku Klux Clan e del predominio razziale.
Fatico a credere, come avvertono i sondaggi di questi giorni, che per la maggioranza degli italiani questa destra sia una risposta ai nostri problemi esistenziali e si possa cancellare con un colpo di spugna il lavoro serio ma poco vistoso, di persone come Draghi o magari del pacato ministro Speranza, che han tenuto la barra diritta, anche in momenti senza esagerare drammatici.
Marcel Proust, il geniale scrittore della Recherche, pur senza essere politologo, aveva proposto un nuovo modo per interpretare i meccanismi che stanno a base dei comportamenti dei popoli. Era convinto di scovare nei meandri dell’individualità, più che guardando ai fenomeni sociologici generalizzati, le ragioni di certe scelte in apparenza illogiche della gente: “gli stupidi immaginano che le grosse dimensioni dei fenomeni sociali sono un’occasione per penetrare ulteriormente nell’anima umana: essi dovrebbero comprendere che è discendendo in una individualità che essi avrebbero l’opportunità di capire quei fenomeni”.
È una lezione, un rovesciamento copernicano di come dovrebbero fare i politici per fiutare i veri bisogni, le ansie, anche la rabbia distruttiva generata dall’anelito ad un cambiamento, altrimenti ritenuto impossibile, della propria condizione individuale: dunque è necessario sondare il sentimento di una certa signora Maria, o del signor Paolo qualunque; occorre scendere tra la gente e ascoltare davvero. Talvolta i grandi ideali si infrangono nella quotidiana lotta che ognuno intraprende con la propria vita e da qui è necessario ripartire. Serve per progettare un futuro meno occasionale e più sereno, anche senza ricorrere all’inganno della semina dei quattro zecchini. Possiamo farcela con onestà.
Caro Roberto, che bella la possibilità di poter interloquire con te 😃
L’immortale Pinocchio, personaggio talmente potente da sfuggire in fondo anche alla mediocre penna di Collodi (che non ha lasciato altri grandi lasciti letterari) ci parla ancora a distanza di 150 anni…
Ma il paese di Acchiappacitrulli somiglia molto all’Italia draghiana dove viviamo noi, galline e pavoni spennacchiati, pecore tosatissime e compagnia cantante 😊
E le monete d’oro le promettono solo Salvini e Meloni e Berlusconi?
Mi sembra evidente che sono in buona compagnia, certo Draghi non promette monete d’oro a pioggia a tutti, ma racconta a Pinocchio che se farà il suo dovere non verrà polverizzato dallo spread e dalla mannaia del mercato.
Più simpatici il 🐱 e la 🦊 che a Pinocchio, senza volerlo, saranno di aiuto permettendogli di fare il passo che mo farà diventare grande. Ciao.
è il cocktail delle promesse totalmente irricevibili abbinato agli spergiuri di atlantismo e europeismo dopo aver chiesto l’uscita dall’euro e altre idiozie che fa suonare un po’ troppo falso, direi proprio offensivo del minimo buon senso.
Poi, tutti devono vendere come appetibile la propria ricetta e tutti vanno un po’ zoppi. Però in paese di ciechi (politicamente) meglio i monocoli. Far cadere il governo Draghi a pochi mesi dalla conclusione naturale e con tutte le pentole sul fuco è una colpa, una responsabilità inemendabile.