Le bellicose intenzioni di alcuni politici che oggi vanno per la maggiore su come risolvere il problema dei migranti ci ricordano soluzioni che tanti anni fa sembravano definitive e che invece si sono rivelate inefficaci e pericolose.

Tra le molteplici dichiarazioni più o meno realizzabili sentite in questa schizofrenica campagna elettorale estiva spicca per suggestione la risoluta convinzione che gli sbarchi degli odiati migranti possano trovare la soluzione definitiva con un blocco navale. Ma cosa si intende con questo termine? Il blocco navale è un’azione militare finalizzata a impedire l’accesso e l’uscita di navi dai porti di un paese o di un territorio. Nel corso della storia ne abbiamo avuto diversi esempi tra cui quelli attuati dall’ Inghilterra dapprima contro la Francia napoleonica e poi contro la Germania nel 1914. In quei casi si trattava evidentemente di azioni di guerra contro una nazione nemica nel tentativo di tagliarle le vie di rifornimento e costringerla alla resa.

Dopo la creazione delle Nazioni Unite nel 1945 il blocco navale è stato disciplinato dal diritto internazionale, in particolare dall’articolo 42 dello statuto ONU e non è consentito al di fuori dei casi di legittima difesa ovvero consentito solo in caso di stato di guerra tra due o più stati. Di conseguenza il blocco dei porti o delle coste di uno stato da parte delle forze armate di un altro Stato è definito come un vero e proprio atto di aggressione, in assenza di dichiarazione di guerra, dall’art. 3, lettera C della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 3314 del 14 dicembre 1974. L’Italia non è nuova all’utilizzo di questo sistema, diciamo così, energico che però non ha mai portato a buoni risultati e anzi ha causato vere e proprie tragedie del mare senza peraltro risolvere alcunché.

Nel 1997, ad esempio, il primo governo Prodi decretò il blocco navale per contrastare i continui arrivi dall’Albania, all’epoca travolta da una drammatica crisi politica ed economica. Il 19 marzo fu varato un decreto legge che regolava i respingimenti e il 25 dello stesso mese si giunse ad un accordo con lo stato balcanico per il contenimento del traffico clandestino di profughi. L’accordo prevedeva un intenso pattugliamento delle coste dell’Adriatico e dava alla nostra Marina Militare disposizioni per attuare l’operazione Bandiere Bianche, nome in codice  di un vero e proprio blocco navale finalizzato a limitare gli sbarchi delle cosiddette carrette del mare provenienti dalle coste albanesi.

Ma quando alla disperazione si contrappone l’interdizione armata il rischio è altissimo. Nel pomeriggio del 28 marzo 1997 la Katër i Radës, una vecchia cannoniera, probabilmente rubata da gruppi criminali che gestivano il traffico di immigrati clandestini, parte da Valona con destinazione le coste italiane: sulla piccola imbarcazione, progettata per 9/10 membri di equipaggio, sono stipate circa 142 persone. Alle 17:15 al largo dell’isola di Sàseno la nave é avvistata dalla nostra fregata Zeffiro che  le intima inutilmente via radio di invertire la rotta. Il comandante dello Zeffiro chiede poi al comandante della corvetta Sibilla, capitano di fregata Fabrizio Laudadio, che è a qualche miglio di distanza, di raggiungere a sua volta la nave albanese per mandare un messaggio col megafono perché, secondo gli ordini, l’azione deve limitarsi alla “dissuasione verbale”.

La cannoniera continua a navigare verso l’Italia ma sembra innervosita dalla presenza delle unità italiane e varia spesso la velocità. La nave Sibilla la segue a qualche distanza, “stando dietro la sua poppa spostato sul lato a dritta” dirà successivamente Laudadio e intanto continua a ripetere il messaggio (in italiano) : se arriverete in Puglia il capitano del battello albanese sarà arrestato e i passeggeri saranno rimpatriati. La “dissuasione verbale” è di scarsa utilità, perché gli albanesi non hanno alcuna intenzione, a quanto sembra, di tenerne conto e il Sibilla si limita a seguirli alla stessa velocità, una decina di nodi. Le due unità procedono una dietro l’ altra e intanto scende la sera.

Ed ecco, all’ improvviso, il fatto inatteso, quello che trasformerà una missione tranquilla, in apparenza senza pericoli, in una tragedia, in un incidente diplomatico di enorme risonanza. Forse per imperizia del timoniere o per disturbare la nave italiana, l’unità albanese accosta violentemente a dritta, e Laudadio se la trova, come egli stesso dirà, “sotto la prua”. Ordina immediatamente di invertire le macchine ma la collisione è inevitabile: speronata dalla corvetta italiana la cannoniera cola a picco in pochi minuti. La ricerca dei naufraghi e il recupero dei corpi continua per tutta la notte e nave Sibilla rientrerà a Brindisi solo nel pomeriggio del giorno successivo con 34 superstiti e 52 cadaveri mentre il numero totale di vittime sarà poi stimato in 83 persone.

L’incidente sollevò a livello internazionale interrogativi sull’entità della forza che uno Stato può utilizzare per proteggere le proprie frontiere. Se fu indubbio che l’affondamento fosse involontario, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati criticò il blocco italiano come illegale in quanto stabilito solo attraverso un accordo bilaterale intergovernativo con l’Albania. Romano Prodi, all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio dichiarò in seguito: “La sorveglianza dell’immigrazione clandestina attuata anche in mare rientra nella doverosa tutela della nostra sicurezza e nel rispetto della legalità che il governo ha il dovere di perseguire”. Belle parole, peccato che alla base di questa tragedia del mare vi sia stato proprio il mancato rispetto della legalità costituito dal nostro blocco navale.

E qui torniamo alle considerazioni iniziali sulle proposte “muscolari” presenti negli appelli agli elettori di alcune forze politiche. Se le fatiscenti imbarcazioni di coloro che fuggono da condizioni di vita inenarrabili e insostenibili non si fermano alle intimazioni delle nostre navi da guerra cosa succederà? Li speroniamo, li mitragliamo, li siluriamo? Altra considerazione. L’esodo albanese degli anni Novanta (l’orda, la definì qualcuno) si è esaurita e gran parte dei suoi protagonisti sono perfettamente integrati nella nostra società, sono nostri colleghi di lavoro, i loro figli vanno a scuola con i nostri figli e nipoti, parlano perfettamente italiano, producono ricchezza, pagano le tasse… insomma, trent’anni fa nessuno se lo immaginava ma quei balcanici “brutti, sporchi e cattivi” sono diventati una risorsa. Tranne quelli rimasti sul fondo dell’Adriatico.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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