“Gli ecomostri, al mattino presto /con la dinamite sui litorali, /mentre collassano tu li invidi, /perché obbediscono, è chiaro, /a un destino/ che tenevano dentro da sempre. /Riescono, loro, nel compito arduo/che mai a te sarà dato di adempiere, /tu che sfiori nella sera, da solo, /i condomini di facce sbiadite / su cui finivano le città…”
Non soni forse questi i versi migliori per sintetizzare l’ultima raccolta di poesie di Francesco Targhetta: “La colpa al Capitalismo”. (La Nave di Teseo, 2022), sicuramente però è possibile intuirvi una tensione post- pasoliniana, che densa di policromi richiami all’impegno civile, rimanda però ad un progressivo e consapevole senso delle decomposizioni dei suoi stessi valori, fatti rimbalzare nel libro con una scansione ritmica, lineare e al tempo stesso franta. Secondo una logica metrica che, come già lo scrittore ha dimostrato nella sua precedente raccolta di liriche: “Perciò veniamo bene nelle fotografie[1]”, indugia in una tensione retrattile del verso, che si espande in tutta l’opera, prediligendo una consapevole polimetria in bilico tra l’endecasillabo morbido al tempo stesso martellante e il verso libero, talvolta anche apparentemente distaccato nella sua pur organica struttura. Con effetti e contenuti in bilico tra l’aforisma e l’hayku giapponese. Le tematiche e la tensione lirica sono infatti in forte contrasto tra il desiderio di concretezza e il senso della sua dematerializzazione, cosa che Targhetta sembra a tratti desiderare, a tratti subire da “ testimone muto”, come se fosse nel vortice di un’ entropia, che ( specchio dei tempi) pur non riuscendo a controllare, vive quasi con la logica dello sciamano che danza volutamente sotto la pioggia, per trasmetterci, in una prospettiva intimistica e al tempo stesso tempo sociale, le sue personali “notizie dal diluvio”.
In quest’ottica, che avrebbe fatto la gioia di Angelo Maria Ripellino, il lettore percepisce gli aspetti più grigi e distopici di un paesaggio, oscillante tra le ombre e le luci di una natura che lotta sì, ma anche convive e connive con il bitume, il cemento ed il progressivo degrado, e, non di meno, con la generica e inquietante percezione di una cosmica mercificazione di uomini ed oggetti. Come confermato , dagli intensi versi: “Condotta monacale e Kafka in macchina/ per pause pranzo con la borsa frigo,/mute le chat che la uniscono al mondo in un vincolo di vizze ghirlande…in un muto/ soliloquio di brodo e di lana…” [2]
Targhetta ci propone dunque in una prospettiva esistenziale e resistenziale un suo diario di bordo, pieno di percezioni, immagini e figure, concrete, a tratti trasfigurate e non di meno mitridatizzate al disagio di una civiltà che, sempre più algoritmica, induce il lettore a sentirsi protagonista di una metamorfosi reificante. A tratti cupa, a tratti rigenerante e non di meno umoristica (anche in salsa noir), secondo una, grigia, vitale e consapevole logica della decontestualizzazione. Come dimostrato, tra le altre, dalla seguente lirica: Shelf life
C’è la vita cellulare che perdura
(per quanto ancora?)
e la vita da scaffale
che è finita.
Lo intuisce un sabato di pioggia
ritornando dopocena dal mare,
la pelle del colore della merce
sfiancata dietro una vetrina al sole.
Qual è, si chiede, la fine
dei cartoni di latte invenduti?
Dei biscotti troppo a lungo esposti
rimpiazzati da altri più freschi?
Del vassoio di straccetti di pollo
scaduti da due settimane?
Sua madre
li dava in pasto al cane.
Un’ altra tappa fondamentale, per concludere, di un percorso poetico che esalta, oltre alla personale dinamica dell’incontro – scontro tra prosa e verso, il senso lucido e allucinato di un viaggio le cui tappe verranno messe meglio a fuoco domani nel corso dell’incontro che il poeta terrà con i lettori presso il Parco Hotel “Villa Stucky” a Mogliano Veneto.
Profilo Biografico:
Nato a Treviso nel 1980, vi risiede esercitando la professione d’insegnante di lettere alle superiori. Dopo il dottorato in Italianistica all’Università di Padova (con tesi su Corrado Govoni), ha approfondito gli studi sulla poesia simbolista di fine ‘800 grazie a un assegno di ricerca e ha insegnato per 4 anni. Nel 2009 ha esordito con la raccolta di liriche Fiaschi alla quale ha fatto seguito il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie nel 2012 e la plaquette Le cose sono due nel 2014 vincitrice di due riconoscimenti. Il suo esordio nella narrativa tout court è avvenuto nel 2018 con il romanzo generazionale Le vite potenziali, ben accolto dalla critica e vincitore del Premio Berto e del Selezione Campiello. Nell’ottobre 2019 scopre l’Istituto magistrale frequentato da Andrea Zanzotto tra il 1934 e il 1937: “Duca degli Abruzzi” di Treviso, oggi Liceo Statale.
[1] Milano, Isbn, 2012 Nuova edizione, con una postfazione di Andrea Cortellessa, Milano, Mondadori, 2019.
[2] Da: “La Ballata dei condomini inesplosi”, in: “La Colpa al Capitalismo” (La Nave di Teseo, Milano 2022).