A metà settembre 2022 si è inaugurata a Treviso la mostra dedicata a Pàris Bordon, le cui opere rimarranno esposte al Museo di Santa Caterina fino al 15 gennaio 2023. Che prestigio avere in Città un grande maestro della pittura del ‘500 che in vita ha impiegato vent’anni per liberarsi della gigantesca figura di Tiziano, suo maestro, ma invero poco incline alla didattica e poco generoso con gli allievi! Forse, proprio, per colpa di tanto clamore e magia di questi giorni, Pàris Bordon è già tra noi virtualmente, curioso come non mai di sapere tutto ciò che verrà scritto e detto su di lui per l’occasione. Il percorso del pittore, trevigiano di nascita ma veneziano di formazione, si è venuto maturando nel corso delle prime sette decadi del ’500. Le sue figure si torcono, si allungano, si deformano in pose al limite dell’equilibrio, cercano e trovano un codice di emozione tutto corporeo. Capolavori assoluti citati anche da Roberto Longhi nel suo “Viatico per cinque secoli di pittura veneziana”. Pàris Bordon mi si è materializzato all’improvviso, brillante e misterioso come non mai. Non potevo mancare alla possibilità di intervistarlo. Per l’occasione, ho improvvisato alcune domande a cui il maestro, versatile e disponibile, ha risposto in forma virtualmente attualizzata senza mostrare né stupore né disappunto. Nonostante la veneranda età è apparso aderente all’attualità e molto incuriosito dall’oggi. Per di più, sembrava felice della improvvisata opportunità ed io, tentando di controllare il grande rispetto e tenendo a bada la soggezione, ne ho approfittato per chiedergli…
- Illustre maestro, dove siete nato e chi sono i vostri genitori?
Sono nato a Treviso e sono stato battezzato in Città il 5 luglio del 1500. Mio padre Giovanni era un sellaio e mia madre Angelica, originaria di Venezia, si dedicava alla filatura, al cucito ed al ricamo.
- È sempre vissuto a Treviso?
No! Dopo l’adolescenza mi sono trasferito a Venezia presso i miei nonni materni. Sono giunto in Città cinque anni dopo la prematura morte di Giorgione, uno dei miei pittori di riferimento.
- Com’era la Treviso del suo tempo?
Ricordo che Treviso aveva la condizione di comune autonomo ma militarmente, economicamente e culturalmente dipendente dalla vicina Venezia. La mia Treviso era una città in espansione, un intreccio continuo di vie strette con case di pietra e di legno accatastate le une alle altre. I fondi e le botteghe entro e fuori le mura si alternavano ai magazzini, a piccoli orti e ai vigneti; chiesette e cappelle votive erano ovunque. Quando avevo undici anni al termine della guerra tra Regno di Francia e Sacro Romano Impero, Treviso era dinamica, contava circa 10.000 abitanti che per l’epoca, erano tanti! Purtroppo, la Città era anche corrotta dalle smanie di potere e lacerata da lotte intestine. Sono cresciuto in mezzo alle tensioni tra il ceto popolare delle “attività” minori e quello nobiliare e influente delle “attività” maggiori. Lei sa bene che dopo la sconfitta di Agnadello, Venezia si è affrettata a fortificare le più importanti città della terraferma, tra le quali Treviso. Il progetto delle mura fu affidato al frate francescano Giovanni Giocondo da Verona. Ero piccolo ma ricordo bene che nel 1509 iniziarono ad essere demolite le mura medievali, i borghi e tutti gli altri edifici che si trovavano all’esterno o, seppur all’interno, nelle immediate vicinanze della cinta muraria. Si passò così da una struttura urbana con uno sviluppo a raggiera in corrispondenza delle arterie che si allontanavano dal centro, ad un impianto murario poligonale che tracciasse il limite invalicabile delle attività edilizie. Oltre la cinta muraria si estendeva una spianata priva di case e alberi. Credo si possano vedere ancora oggi che le mura furono costruite a terrapieno, rivestito all’esterno da una spessa muraglia in laterizio, più economico e facile da usare rispetto alla pietra, ma anche più elastico per meglio resistere all’artiglieria. Le mura sono state decorate a due terzi dell’altezza da un cordolo in pietra d’Istria. Mi dicono che in prossimità dei bastioni sono tuttora visibili dei bassorilievi rappresentanti il leone di San Marco.
- Dai suoi dipinti si ricava l’abbigliamento di quegli anni, come lo può descrivere?
Il XVI secolo è quello della teorizzazione, dei precetti e dei trattati che disputavano su ogni argomento. Così anche a Treviso, l’ideale di perfezione formale emanata da cultori come il Bembo irradiava la cultura delle città Rinascimentali nella penisola ed in tutta l’Europa. Così in Francia il prestigio italiano era garantito dall’ascesa di Caterina de’ Medici.
A Treviso, le basi umanistiche della morale cattolica si impregnavano sempre più di fervore religioso e in quest’ottica il Concilio di Trento segnerà lo spartiacque. Il carattere dell’abbigliamento rifletteva tale passaggio. Mi ricordo che nel primo periodo si impose una “maestà corposa” nella linea e nei tessuti, lasciando spazio alla varietà di fogge scelte a seconda delle occasioni. Spesso ho ritratto le donne in nudità ma in realtà esse indossavano la camora o la gonnella che copriva tutta la persona. La vita era relativamente alta, le maniche attaccate basse e piatte, aperte alle spalle e lungo il braccio da cui sbuffava la camicia. Caratteristica del periodo era lo scollo, spesso ampio e quadro o arrotondato. I colori erano vivi e maestosi: verdi, azzurri o rosa come si vede in molti miei ritratti. Le decorazioni erano in oro, in argento o a rilievo negli stupendi velluti sopra rizzi e il disegno spesso si ispirava all’aguzza linea del carciofo. Per gli uomini, la moda del nero monocromo era rischiarata appena dai tocchi bianchi delle gorgiere e dei manichini.
- Mi diceva che le opere di Giorgione l’hanno influenzata?
Certamente, Giorgione ha avuto su di me una grande influenza che è duratura nel tempo.
- Chi erano i suoi principali committenti?
Avevo molto bisogno di lavorare, per fortuna ho ricevuto numerose commisse oltre che dalle città della Repubblica di Venezia anche da luoghi più lontani come dal Ducato di Milano, da Firenze, da Roma e da Augusta in Baviera. Per lavorare, nel 1538, mi sono recato anche in Francia presso il re Francesco I, viaggio che ho ripetuto nel 1559 al tempo del breve regno di Francesco II.
7. Quali sono le opere che lei preferisce?
Ritengo che la Madonna in trono con i Ss. Giorgio e Cristoforo del 1525 sia la mia prima opera importante. Nello stesso anno ho dipinto il San Giorgio che uccide il drago ora nella Pinacoteca vaticana. Tra le mie numerose pale d’altare, affreschi, opere dal soggetto mitologico e ritratti non saprei fare una graduatoria. Non mi piaceva datare e firmare le mie opere, le uniche eccezioni sono state: il Ritratto maschile di Vaduz del 1532, il ritratto di Girolamo Croft del 1540 e Betsabea alla fontana del 1552. Gli storici ed i critici dell’arte hanno sempre riconosciuto la mia coerenza artistica” perché nel corso degli anni sono rimasto fedele a me stesso, al mio stile ed ai miei soggetti.
8. Come potrebbe definire la sua personalità artistica?
Vista in una prospettiva storica, il mio tratto appare quello di un pittore raffinato, ma non posso pretendere di essere stato un artista di prim’ordine a paragone di Tiziano, Tintoretto e Veronese. Questi tre erano miei contemporanei, ma debbo riconoscere che tra loro mi spetta senz’altro un posto di secondo piano perché il mio stile non era certo rivoluzionario. Mi dicono che anche lo storico dell’arte Vasari si era reso conto dei miei limiti pur criticando l’atmosfera troppo affollata e competitiva della vita artistica della Venezia del ‘500. Come le ho già detto, nei miei soggetti pastorali, con figure disposte entro calmi e idillici paesaggi, si continua a sentire l’influsso del grande Giorgione un pittore che non ho conosciuto personalmente ma di cui ho sempre ammirato le opere. Ho assorbito anche gli eccessi tecnici comuni al manierismo del Pordenone e del Tintoretto, infatti, nei colori più scuri e stridenti delle mie ultime opere si può rintracciare qualche riflesso degli anni turbolenti del manierismo artistico anche della seconda metà del ‘500.
9. Cronologicamente come può riassumere il suo percorso artistico?
Riassumendo la mia storia artistica è iniziata a dipingendo la Sacra Famiglia a Firenze, poi la Sacra Conversazione con Donatore ora a Glasgow e poi la Sacra Famiglia con santa Caterina ora nei musei dell’Ermitage, poi nel 1523 ho dipinto il Sant’Ambrogio con Donatore. Dieci anni dopo ho realizzato il primo autoritratto e su larga scala i mie dipinti più significativi per la Scuola di San Marco. Tra questi quello che i critici giudicano il mio capolavoro è una tela raffigurante il Pescatore che consegna al Doge l’anello di matrimonio. Gli storici dell’arte nel corso degli anni hanno giudicato migliori le mie opere di piccole dimensioni, che mostrano mezze figure, con donne e uomini seminudi ripresi dalla mitologia o dalle narrazioni religiose.Tutte le figure le ho rappresentate in una interazione muscolare, nonostante il poco spazio che avevo a disposizione nella tela. Ho eseguito dipinti murali molto importanti a Treviso, a Venezia ed a Vicenza ma mi hanno riferito che essi sono andati distrutti in seguito ai bombardamenti nella Seconda guerra mondiale.
10. Ha dipinto anche al di fuori dei confini della Penisola?
Come le ho già detto nel 1538, sono stato invitato in Francia da Francesco I, alla cui corte ho dipinto numerosi ritratti, anche se nessuna traccia di queste mie opere si trova nelle collezioni francesi. Solo due quadri sono conservati al Louvre. Durante il viaggio di ritorno, ho accettato di lavorare per la famiglia Fugger ad Augusta in Baviera. Nel viaggio di ritorno a Venezia, ho decorato le pareti della chiesa di San Simone e Giuda Taddeo, a Vallada Agordina, con un ciclo di affreschi.
11. Maestro, siete felice di aver dedicato l’intera vita alla pittura?
Certo, ma non è stato facile. Sono fiducioso che la ricorrenza del 450° anniversario dalla mia morte sia l’occasione propizia per convegni, mostre, incontri nelle scuole superiori ed approfondimenti di tutta la mia opera artistica.
12. Sa che anche prima dell’arrivo delle tecnologie della comunicazione nella sua Treviso molti appassionati hanno potuto godere delle sue opere pittoriche?
Mi è stato riferito e ne sono molto orgoglioso. Viene così smentito il detto “Nemo profeta in patria”.
13. Anche i colori hanno un forte valore allegorico per Lei, è vero?
La mia opera omnia artistica è come un castello con tante porte, alcune visibili, altre camuffate. La più individuabile è il cromatismo e l’accuratezza della rappresentazione estetica.
14. Infine, Pàris Bordon, per non tediarvi troppo, le rivolgo un’ultima domanda: “Chi è stato il vostro maggiore competitor artistico?”
Così a caldo, non posso che pensare a Tiziano. Purtroppo, però, in vita, ne ho avuto più di uno…
Di per se stessa la mostra è ragguardevole, così come trovo stimolante questo articolo.
Molto azzeccata l’idea della “intervista impossibile” che rende più vivace e interessante l’argomento. Grazie Gianni per aver ricordato l’opera di un grande pittore troppo spesso messo in ombra da Tiziano. Invito tutti a vedere la mostra di Treviso. Complimenti.