È proprio così.

Ragionare su ciò che sta accadendo costa fatica, concentrazione ed un continuo tornare indietro su se stessi per capire se ciò che si scrive e si dice è giusto, plausibile, corretto.

Alcune cose sono certe. La sinistra ha perso le elezioni. Ma il risultato ha due facce.

La prima che ti lascia con l’amaro in bocca è evidente: le forze non schierate a destra non sono la minoranza del Paese. Lo dicono i numeri, I risultati regione per regione.

La seconda è una evidenza da diverso tempo, è una deduzione dai risultati, è il frutto amaro di molti anni recenti. La sinistra è spaccata in diversi tronconi. E questi partiti, gruppi o movimenti sembra non abbiano bisogno di governare.

Sembra che per loro il nostro Paese sia un optional, una opportunità che con tranquillità si può prendere o rifiutare. Badate i loro leader lo rendono esplicito. Conte mette in crisi il governo Draghi per una riconosciuta necessità elettorale dei 5 stelle.

Letta, tradito per l’ennesima volta (un tempo da Renzi, poi da Conte ed infine da Calenda) si chiude a riccio invocando, a sua volta, due chiusure. Alla Meloni per il rischio fascismo e a Conte stesso per difendere i voti al suo PD. Un dato sembra chiaro. Che la scelta di candidare la Sinistra e il Centro Sinistra al Governo non era nelle cose. E questo per Conte e per Letta.

Non scrivo nemmeno di Calenda e Renzi perché la scelta del terzo polo è automaticamente espressione della volontà di non contribuire al successo della sinistra. Anche se io sarei cauto nell’aggregare questi partiti automaticamente alla destra. Per tre ragioni.

Perché la destra ora non ne ha bisogno, perché all’interno di quei partiti esiste una parte di popolo seriamente vocato a sinistra e non a destra ed infine perché la loro disponibilità oggi verso la sinistra è più importante visto il caos che vi domina. Ora le elezioni son passate ma il clima, a mio avviso, assomiglia a quello di prima.

Conte sembra voler tentare una operazione di svuotamento dell’acqua che storicamente vede nuotare i partiti storici della sinistra. Calenda aspetta un riavvicinamento tra i 5 stelle e il PD per invitare i moderati del PD medesimo, soprattutto provenienti dalla Margherita, a ritornare in una formazione di Centro, la sua.

Letta pensa al congresso timoroso di quanto appena detto e con il classico rischio che l’immobilismo conseguente produca il disfacimento della sua nave già affaticata. La Sinistra di Fratoianni e dei Verdi è ancora felice del suo risultato è lì si è fermata. In questo pesante gioco dell’oca alla fine la destra, pur volgare nelle definizioni dei ministeri, povera negli uomini e nelle donne scelte dalla Meloni, pesante nelle premesse ideologiche poggiate sul terreno del confronto politico, avrà buone possibilità di stare tranquilla e mangiare diversi panettoni.

A me pare che ci siano due problemi da affrontare. Tatticamente la sinistra nel suo complesso sbaglia a farsi male. La piccola tattica politica, gli affronti, le divisioni non pagano mai. Figuriamoci ora. C’è bisogno di una tregua, del rispetto dei confini, della condivisione delle opportunità. Ci sarà tempo per misurarsi ma non ora.

Il secondo problema è il rapporto con la società. Vi troveremo gli astenuti delusi dalle capriole politiche ma soprattutto arrabbiati, nervosi, incattiviti per la crisi, l’inflazione, I prezzi, la sanità privatizzata, la scuola ferma e così via. Ma anche una parte dei votanti PD e, credo, anche dei 5 stelle ha firmato il 25 settembre solo un contratto a tempo con questi partiti.

E guarderà ai comportamenti sociali, alle capacità aggregative, alle risposte concrete e di merito prima di confermare le temporanee fiducie. Io lo chiedo al PD e ad Articolo 1. Non ai 5stelle perché queste oscillazioni politiche – ieri senza schieramento, oggi a sinistra – mi lasciano sempre un po’ dubitoso ed estraneo.

Chiedo due cose.

Di ritornare ad un partito in presenza e non via zoom per utilizzare parole dell’oggi. Un partito che conti e decida.

Democratico nel nome e nei fatti.

In cui i progetti e gli uomini siano scelti da chi vuole militarci.

Dall’altra chiedo di tornare tra la gente, tra i lavoratori, tra coloro che pagano questa crisi seguendo episodi importanti che già sono accaduti in molte parti d’Italia (e ricordo Genova).

È chiedo di tornare con radicalità nelle proposte e con etica nei comportamenti.

Ma solo i fatti ci diranno se il cambiamento può avvenire.

Però una cosa mi è chiara.

Le forze che potrebbero essere disponibili non sono un sogno.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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