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Ho sempre desiderato fissare i ricordi e le tracce storiche della mia famiglia di origine, quelle ombre troppo lunghe della mia non più breve vita! Nella seconda metà del XIX° secolo l’emigrazione dei trevigiani non si è limitata soltanto verso i paesi europei e le Americhe ma si è orientata anche verso la ricca Milano, considerata allora il gioiello dell’impero Austroungarico. Il mio bisnonno Carlo Milanese [1848-1926] nel 1862 si trasferì dalla natia Montebelluna a Treviso per completare gli studi, perché allora l’istruzione superiore era prevista soltanto nei capoluoghi di Provincia. Trovò ospitalità presso lo zio Giuseppe che aveva aperto a Treviso una filiale dell’attività manifatturiera di famiglia: “Prodotti derivati dalla lavorazione dei pellami e del cuoio”. La consolidata vocazione imprenditoriale dei montebellunesi è stata all’origine delle prime forme di produzione dei cosiddetti “corami”, attività che, seppur presenti sin dal Medioevo, si affermarono in modo deciso solo nella seconda metà dell’Ottocento approfittando delle consistenti forniture militari. Le materie prime provenivano dagli allevamenti bovini del Veneto, mentre i trattamenti delle pelli veniva effettuato nelle concerie della Valle del Chiampo nel Vicentino. La “tecnologia” utilizzata era invece frutto delle conoscenze tramandate di padre in figlio.
A Montebelluna dai sei calzolai del 1808 si passò ai trentasei degli anni ‘30, ai cinquantacinque degli anni ‘80 per arrivare ai duecento dell’inizio del ‘900. Carlo era intellettualmente molto dotato, tanto che, oltre al programma di studio obbligatorio, approfondiva anche ricerche nell’ambito scientifico e matematico. Nel maggio del 1873 ha sposato a Treviso Amalia Vendrame [1852-1927] figlia di uno stimato medico chirurgo. La moglie, sebbene impegnata in continue gravidanze, ha sempre coltivato la passione per il ricamo ed il disegno. In famiglia si conserva un suo quadro ricamato con capelli femminili e deliziose miniature di animali esotici che avrebbero potuto illustrare degnamente i romanzi d’avventura dello scrittore veronese, suo contemporaneo, Emilio Salgari [1862-1911]. Dalla loro unione nacque, nel 1877, mio nonno Cirto Milanese [1877-1961] secondogenito di dieci figli, di cui sei femmine, tre delle quali scelsero la vita conventuale nel Monastero di Santa Chiara a Milano. Il suo nome deriva da Cirta, antica città dell’Africa settentrionale fondata dai Cartaginesi che fu capitale della Numidia e corrisponde all’odierna Qusantînah in Algeria. Il nome Cirto alla fine del 1800 era abbastanza diffuso proprio perché si identificava con il mito, allora d’attualità, con un posto al sole nel Nord Africa. Nel 1895 Cirto stava frequentando brillantemente l’ultimo anno dell’Istituto tecnico per ragionieri della Provincia di Treviso “Jacopo Riccati”, quando, su consiglio della zia Erminia residente a Milano, ha risposto alla ricerca di personale della Banca Commerciale Italiana. Lo fece di buona voglia desideroso di seguire i suoi sogni, cioè acquisire l’indipendenza economica e realizzarsi nel mondo del lavoro. Il giorno fissato per la partenza i genitori l’accompagnarono con il calesse alla stazione ferroviaria di Treviso. Era una giornata fresca, il padre Carlo ed il figlio indossavano il tradizionale tabarro bruno e cappello a larghe tese, Amalia invece era avvolta in una mantella chiara con il collo di lapin. Teneva lo sguardo abbassato ed un fazzoletto bianco tra le mani per nascondere la commozione, ma nel suo intimo si ripeteva convinta: «è meglio che i miei ragazzi inizino presto ad emanciparsi!».
La sera prima erano stati in piedi fino a notte tarda, la loro casa era ancora sveglia mentre il vicinato era già immerso nel sonno. A mezzanotte era rimasta accesa soltanto la lampada a petrolio della camera di Cirto che stava ancora leggendo uno dei libri di Emilio Salgari che suo padre periodicamente acquistava per i figli. Egli, però, era diverso dai fratelli e dalle sorelle, oltre a quei libri leggeva anche altri classici ottocenteschi e da quelle letture traeva ispirazioni esistenziali e quesiti a cui pochi avrebbero saputo dare risposte soddisfacenti. Nello stesso tempo consumava le notti abbracciato al suo immaginario inebriandosi di progetti sempre nuovi. Amava sognare, al punto che i genitori a volte lo coglievano con gli occhi spalancati e fissi nel vuoto a rivisitare gli anni della sua adolescenza caratterizzata da un ossessivo desiderio di fuggire dalla quotidianità e raggiungere il successo, ignaro che anche per Oscar Wilde [1854-1900]: «La Società perdona spesso i delinquenti ma non perdona mai i sognatori». La Banca Commerciale Italiana era stata fondata nel 1894 a Milano su iniziativa del finanziere tedesco di origine ebraica Otto Joel con 20 milioni di capitale sociale, in rappresentanza di un gruppo di banche tedesche, austriache e svizzere. Il colloquio di lavoro lo sostenne con il direttore Federico Weil, un uomo duro nei modi ma intelligente e professionalmente preparato. La selezione ebbe un esito positivo anche perché Cirto dimostrò buone conoscenze ragionieristiche. La giovane età unita a un’indole ambiziosa e spregiudicata gli consentì, tre anni dopo all’atto della leva militare, di essere arruolato con il grado di sottotenente di complemento. Il servizio lo svolse a Milano in forza al Reggimento di Artiglieria a cavallo, chiamato Volòire, che ancor oggi si caratterizza per l’adozione nelle cerimonie del tradizionale austero Chepì con il lungo crine di cavallo. Mio nonno Cirto era operativo a Milano nel maggio del 1898 quando furono represse a cannonate le sommosse popolari, la cosiddetta “Protesta dello stomaco”, ad opera del generale Fiorenzo Bava Beccaris, comandante della III Armata.
In quei giorni Cirto partecipò all’azione assieme ad una decina di ufficiali, trecento artiglieri del proprio Reggimento e ad altre forze armate fatte confluire appositamente dalle guarnigioni delle città vicine. Dopo la strage il generale fu premiato dal Sovrano con un’alta onorificenza e con la nomina a Senatore del Regno, gli ufficiali subalterni furono invece promossi al grado superiore. Quel tragico evento, che procurò un centinaio di morti e 450 feriti, concorse non poco ad armare la mano dell’anarchico Gaetano Bresci che nel luglio del 1900, dopo essere rientrato dall’America dove era emigrato, uccise il Re Umberto I° di Savoia [1844-1900]. Al sovrano deceduto successe l’unico figlio Vittorio Emanuele III [1869-1947] principe di Napoli, coniugato con Elena principessa di Montenegro [1873-1952].
Cirto rimase profondamente traumatizzato da quei fatti, era giovane e non aveva mai partecipato, prima d’allora, ad azioni così cruente. Per questo motivo avvertì nel suo intimo, sempre più forte, il manifestarsi di un conflitto tra i propri valori morali traditi da una parte e gli impegni assunti con il giuramento dall’altra. I primi gli facevano rimettere in discussione il servizio militare ed auspicare di tornare quanto prima alla sua professione, convinto che nulla di buono sarebbe venuto da quell’esperienza. Ripensando a tale prospettiva arrivava al punto d’ipotizzare la simulazione di una patologia sulla base della quale ottenere il congedo anticipato. In realtà, quando vedeva il Generale comandante aggirarsi con provocatoria sovraesposizione in sella al suo cavallo per le vie del centro di Milano veniva colto da una forma di astenia tachicardica.
Con l’opzione alternativa, invece, si sentiva vincolato moralmente e indotto a presagire un futuro ricco di opportunità. Avvinto dall’atmosfera prestigiosa del Circolo ufficiali e dagli austeri rituali si gratificava della scelta fatta, consapevole di poter disporre della sua vita da una posizione di potere e affrancato da condizionamenti economici. Intimamente aspettava la grande occasione di mettersi in luce per fare carriera da ufficiale. Alla fine, però, si rassegnò ad un compromesso, cioè completare il servizio militare obbligatorio fino alla sua naturale scadenza. Dopo il congedo, Cirto riprese, con rinnovato entusiasmo, l’attività in banca. La sua posizione e le relazioni instaurate a Milano gli consentirono, nel 1905, di far venire da Treviso il padre Carlo ed i due fratelli minori Gino e Giulio con cui intraprendere anche a Milano l’attività tradizionale di famiglia. In quell’occasione si adoperò per finanziare l’azienda “Milanese Pelletterie” a cui egli stesso partecipò con la moglie Vittoria De Carli [1885-1928], sposata in quello stesso anno. In seguito, la manifattura venne ampliata e diversificata diventando assai redditizia in virtù anche della fattiva collaborazione che si era instaurata tra i cinque soci e le numerose maestranze.
Treviso 02 01 2023 – Ringrazio la Redazione per la pubblicazione dell’articolo storico e per la registrazione audio…