Mai dire “location”. Dire invece un posto bellissimo qual è appunto la filanda di Campocroce, un gioiello di architettura industriale che ci invidiano e che ospita importanti manifestazioni come questa. Comunque, se volete anche sposarvi potete farlo, basta prenotare.
C’è una comunità. È la frazione di Campocroce che abbiamo già salutato in un articolo sulla sua sagra, veramente partecipata dalle famiglie, dagli anziani e da frenetici giovani con vassoi in mano. Un bell’esempio di tradizione attiva, non finta, che stupisce di questi tempi. E arriviamo alle poesie di Lino Caccin.
I Caccin sono una famiglia storica di questa frazione e Lino ne è stato un protagonista indiscusso con la sua saggezza e autorevolezza. Ma… era un vero poeta, bravo, ispirato e lo scopriamo in questo bel volume curato dalla figlia Eta (si scrive così).
Viene presentato dalla meritevole associazione “Mojan”, sempre pronta nel ricordare ed incoraggiare le perle, magari nascoste, del nostro territorio. Nascoste, sì perché queste poesie dialettali sono un ritratto sagomato di Campocroce come neanche un reportage o volumi di testimonianze avrebbero potuto fare. Troviamo tutta la ruralità, la forza dell’essere contadini, la fame, la religione, l’orgoglio paesano, i cognomi (gli Scattolin, i Pesce, i Biliato) …la grande storia, guerre e trasformazioni ma anche la sua storia personale di bravo soldato, di credente, di bravo padre.
Lascio la parola a Lucio. Lucio Carraro è ormai diventato il motore poetico moglianese scrivendo lui stesso e promuovendo le iniziative di questa forma letteraria, la poesia, in grande ripresa ovunque.
“Lino, era un uomo colto, di piacevole compagnia, aveva fatto gli studi ginnasiali e non a caso frequentava Giovanni Comisso, soprattutto quando lo scrittore trevigiano abitava nella sua casa di campagna a Zero Branco… Scelse la poesia per dar voce ai suoi sentimenti… in versi scanditi in bella calligrafia, e con un andamento stilistico curato sotto il profilo metrico e con una lingua di transizione, di mescolanza fra il dialetto e il sopraggiungere dell’italiano… È stato un rabdomante delle tradizioni e della cultura contadina di Campocroce, innanzitutto, ma anche di Mogliano, di Zero Branco, di quel territorio che va sotto il nome di bassa trevigiana…”.
Lo fermo, mi piacerebbe trascrivere un po’ di versi ma vorrei lo facesse la figlia Eta. Scopro che anche lei è poetessa. Le chiedo se posso fare un’intervista, così le chiederò anche di questo minuscolo e curioso nome e del perché siano venute cento persone alla filanda in una fredda serata di dicembre ad ascoltare i versi delicati di suo padre Lino.