Osservando, non senza fastidio, le polemiche innescate dal caso Cospito da alcuni parlamentari, ignoti ai più, e che pensano di parlare all’osteria (con tutto il rispetto per la nobile e genuina umanità che alberga nelle osterie), una riflessione va fatta sul livello della nostra classe dirigente. Tra l’altro ampiamente ma fintamente rinnovata qualche mese fa. Da alcuni anni la politica italiana è popolata di uomini (pochi) che hanno il senso delle istituzioni, ma anche da una fauna dove dominano pecore, anatre e polli: le prime disposte a seguire le indicazioni dall’alto e il comportamento della massa, le seconde a sguazzare tra le polemiche e gli insulti, i terzi inconsapevoli delle loro potenzialità. È un effetto dell’aumento del leaderismo e della cieca fedeltà al capo, con formazioni politiche costruite attorno a una figura e caratterizzate da messaggi populisti e da una scarsa democrazia interna. Quindi gli episodi di analfabetismo e di bullismo istituzionale non mi sorprendono.
Nel III canto dell’“Inferno” Dante colloca gli ignavi, i peccatori “che mai non fur vivi”, che per la loro viltà e per il fatto di non essersi mai schierati, sono tormentati per l’eternità da vespe e mosconi. Persone che sono morte come sono vissute, “sanza ’nfamia e sanza lodo”, guardandosi bene dal prendere una posizione che potesse essere in qualche modo passibile di un giudizio. In politica gli ignavi sono quelli che non decidono in proprio (da non confondere con chi si astiene), che accettano passivamente le decisioni altrui, che rimangono indifferenti rispetto alle contese, che non hanno la forza di sostenere un’opinione (se mai ne hanno una), ma che per opportunismo scelgono alla fine il partito più forte e decidono di comportarsi come pecore seguendo la propria natura, cioè quella legge del gregge che non è fondata sulla forza, ma sulla paura, l’emulazione, il conformismo.
Il campionario umano descritto da Leonardo Sciascia in un passo molto celebre de “Il giorno della civetta”, rappresenta uno straordinario spaccato dell’italianità: “Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre”.
Una morale complementare si ritrova nel libro cult di Anthony de Mello (“Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”), dedicato all’aquila vissuta e morta come un pollo, perché pensava di essere tale, essendo nata nel nido di una chioccia. Una lezione sull’inconsapevolezza della propria natura, sulla poca disponibilità a mettere in discussione le proprie convinzioni e ideologie. Chi è colpito da pigrizia mentale si trova in questa condizione. E vivere e morire pensando di essere dei polli è un destino ben triste, forse addirittura peggiore della scoperta di essere davvero dei polli.