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Non so se, ogni tanto, proviamo a dare uno sguardo al mondo per provare a capire cosa stia accadendo e, soprattutto, quali giorni ci attendano in un futuro visibile.

Uno sguardo ampio che colga non solo la nostra personale quotidianità, ma la rete mondo nella quale siamo impigliati o sospesi.

Da un anno ormai viviamo accanto a un conflitto terribile, alle porte dell’Europa, che non mostra segni di svolta e, anzi, manda costanti segnali di un suo aggravarsi. 

Abbiamo discusso le prime settimane, forse qualche mese, dividendoci, come ci piace fare, in tifoserie, qualcuno con simpatie verso la Russia e qualcuno verso l’Ucraina. Ma niente di più che tifoserie, spesso incompetenti dello sport su cui s’infiammano. Quasi nessuno, o pochissimi, hanno davvero sentito che la pace che ha accompagnato, per oltre settant’anni, le nostre esistenze si stava sbriciolando.  La pace, che ci ha nutrito almeno in Europa, non è un valore così profondo per la maggior parte dei cittadini. Se un milione di cittadini europei avesse invaso i campi di battaglia urlando “pace!” i tavoli del conflitto avrebbero dovuto tenerne conto.

Invece scendiamo a milioni in piazza solo se la nostra nazionale vince una cosa del tutto inutile quanto un mondiale di calcio. Ma non siamo quello che siamo grazie ai mondiali di calcio, ma grazie alla pace. Tutto quello che abbiamo è germogliato nei decenni in pace.

Non la guerra, ma la pace ha permesso di fare un mutuo per una casa, mandare i figli all’università, avere un tasso di mortalità infantile del 2,9 per mille e farci morire, se maschi, oltre gli 80 anni (alle donne va meglio, meritatamente).

Se guardiamo all’Ucraina non dovrebbe essere difficile cogliere che la guerra è una tragedia per la gente comune, per la quotidianità, per il futuro dei giovani e se avessimo, minimamente, compreso la storia da cui veniamo, dovremmo amare la pace alla follia, un amore che dovrebbe farci fare azioni decise e produrre coscienze lucide.

Per esempio, avremmo chiaro che le spese militari per la guerra in Ucraina sarebbero utili per affrontare l’immane tragedia del terremoto tra Turchia e Siria. Perché entrambi gli stati, la Siria è un paese perduto, non hanno né mezzi né risorse per affrontare un fenomeno sismico di tale entità. E gli aiuti mondiali, dopo la prima fase, evaporeranno.

Non sarebbe un segno di una specie intelligente quello di accumulare risorse per affrontare grandi cataclismi, il segno della nostra comprensione di cosa implichi abitare un pianeta vivo e complesso come la Terra?

Invece dissipiamo a tutti i livelli e la guerra è uno degli esempi massimi.

Così ci commuoveremo un poco vedendo i bambini turchi e siriani estratti dalle macerie, faremo qualche donazione e poi andremo oltre.  Come con la guerra in Ucraina, come con tutte le guerre.

Perché siamo pieni di intelligenze individuali, dai Leonardo da Vinci agli Albert Einstein (è pur vero che i Donzelli ci hanno portato con i piedi a terra), ma collettivamente non sappiamo mettere le nostre forze e capacità per vivere tutti con dignità.

Quando non costruiamo fragili baracche in posti ad alto rischio sismico, ci uccidiamo nelle trincee, come nel passato.

Riusciamo a vederlo, questo? E pensiamo di fare qualcosa o aspettiamo il prossimo San Remo?

Fulvio Ervas
Fulvio è nato nell’entroterra veneziano qualche decina di anni fa. Ha gli occhi molto azzurri e li usa davvero per guardare: ama le particelle elementari, i frutti selvatici e tutti gli animali. Si laurea in Scienze Agrarie con un’inquietante tesi sulla “Salvaguardia della mucca Burlina”. Insegna scienze naturali e nelle ore libere tre campi magnetici lo contendono: i funghi da cercare, l’orto da coltivare, le storie da raccontare. Nel 1999 ha vinto il premio Calvino ex aequo con Paola Mastrocoda. Da allora ha pubblicato moltissimi libri tra i quali “Tu non tacere”, “Follia docente”, “Nonnitudine”, gli otto che hanno per protagonista l’ispettore Stucky da cui è stato tratto il film “Finché c’è prosecco c’è speranza” interpretato da Giuseppe Battiston e “Se ti abbraccio non aver paura” che ha vinto numerosi premi ed ha ispirato, nel 2019, il film di Gabriele Salvatores “Tutto il mio folle amore”.

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