“Nessuna Resistenza avrebbe potuto essere senza le donne”
Secondo il CNL-Alta Italia Il numero complessivo dei partigiani è valutato in circa 200.000, le donne aderenti alla Resistenza rappresentarono circa il 20 %.
35.000 partigiane di cui 4563 arrestate torturate e condannate, 15 furono decorate con Medaglia d’Oro. 75.000 appartenenti ai Gruppi di Difesa della Donna.
Maria Angela Massenz “Io dico che nella Resistenza mi sono sentita cambiata. Questi limiti che mi hanno sempre imposto, io da un momento all’altro li ho superati”[1]
Nonostante il valore dimostrato in diverse circostanze, molte vennero escluse dalle sfilate partigiane nelle città liberate, furono dimenticate, ignorate, sottovalutate. Ne parlano alcune, fra le pochissime ritornate dal campo di concentramento di Ravensbrück, prevalentemente femminile.
Tra le prime testimoni Lidia Beccaria Rolfi.
«Quando tu tentavi di raccontare la tua avventura, tiravano sempre fuori l’atto eroico: I tedeschi li avevano ammazzati loro, i fascisti li avevano fatti fuori loro… e noi eravamo prigionieri, prigioniere…»
A diciotto anni diventa staffetta partigiana nella XV Brigata Garibaldi “Saluzzo”, arrestata dai fascisti della R.S.I. consegnata alla Gestapo, venne deportata a Ravensbrück. Lidia ritornò nel giugno del 1945. Tentò ripetutamente di parlare della sua sofferenza, ma i partigiani amici di un tempo la trattarono con indifferenza, giudicandola poco più di una prostituta e anche i familiari erano diffidenti di fronte ai suoi ricordi. Dobbiamo in gran parte a lei se conosciamo la realtà di Ravensbruck e il destino delle donne prigioniere in quel campo. Centotrentadue mila prigioniere, novantadue mila di loro morte, moltissime delle scampate debilitate nel fisico e nella mente, molte sottoposte a crudeli esperimenti medici.
Lidia Beccaria Rolfi sarà, dal 1958 fino alla sua morte – avvenuta nel 1996 – la rappresentante per l’Italia del Comitato internazionale di Ravensbruck continuando per tutta la vita a portare testimonianza soprattutto nelle scuole.
Cerere Bagnolati partigiana, nome di battaglia “Maria”, componente del comando del primo Gap (Gruppi di Azione Patriottica) di Ferrara. “C’è stata la delusione comune a tutti quelli che son tornati dalla Germania perché, se tu non tornavi, eri un eroe e basta, se tu parlavi, per tanti scendevi dalle nuvole. Quella è scema, dicevano. Quella è una da mandare al manicomio. Se poi è una donna a tornare dal campo di concentramento, subito gli uomini pensano che ha fatto la prostituta”. [2]
Mirella Stanzione «Alle staffette partigiane dicevano: perché ti sei impicciata? Sei una donna, cosa ti importava di quanto accadeva? E ancora: se sei tornata cosa hai fatto per tornare? Come ti sei comportata con i tedeschi? Quando sono tornate le donne si sono trovate prive di ogni sostegno e riferimento. Così ti può capitare che te ne stai al lavello a lavare i piatti, viene la Gestapo e ti porta via, e quando ritorni, riprendi a lavare i piatti».
A partire dagli anni Sessanta inizia la testimonianza di quanto e quale fu l’apporto delle donne nella Resistenza. Le partigiane cominciano a raccontare e sono altre donne a raccogliere le loro parole, a far diventare la narrazione memoria collettiva.
Nel 1965 la regista Liliana Cavani dà voce alla resistenza femminile con il documentario Le donne nella Resistenza.
Nel 2009 esce il documentario Bandite delle registe Alessia Proietti e Giuditta Pellegrini che racconta l’esperienza delle donne che dal 1943 al 1945 combatterono nelle formazioni partigiane. Bandite era l’espressione che la Gestapo usava per definire le partigiane. Bandite, escluse, fino ad un certo periodo storico, anche dalla memoria.
Nel 2015 la regista Chiara Andrich con il documentario Con i messaggi tra i capelli. Ragazze della Resistenza Trevigiana racconta le vicende delle staffette e delle combattenti e le ragioni che hanno spinto queste giovani donne a partecipare alla lotta di Liberazione.
Teresa Mattei é consapevole del pericolo della rimozione. Sa che l’arretratezza culturale può vanificare l’impegno delle partigiane, Sa che per le donne la strada da percorrere è e sarà molto lunga. All’Assemblea costituente il 18 marzo 1947, la più giovane delle Costituenti, pronuncia questo discorso, di cui riportiamo alcuni stralci.
“Perciò noi affermiamo oggi che, pur riconoscendo come grande conquista la dichiarazione costituzionale, questa non ci basta. Le donne italiane desiderano qualche cosa di più, qualche cosa di più esplicito e concreto che le aiuti a muovere i primi passi verso la parità di fatto, in ogni sfera, economica, politica e sociale, della vita nazionale.
Non dimentichiamo che secoli e secoli di arretratezza, di oscurantismo, di superstizione, di tradizione reazionaria, pesano sulle spalle delle lavoratrici italiane; se la Repubblica vuole che più agevolmente queste donne collaborino alla costruzione di una società nuova e più giusta, è suo compito far sì che tutti gli ostacoli siano rimossi dal loro cammino, e che esse trovino al massimo facilitata ed aperta almeno la via solenne del diritto, perché molto ancora avranno da lottare per rimuovere e superare gli ostacoli creati dal costume, dalla tradizione, dalla mentalità corrente del nostro Paese…
Per questo noi chiediamo che nessuna ambiguità sussista, in nessun articolo e in nessuna parola della Carta costituzionale, che sia facile appiglio a chi volesse ancora impedire e frenare alle donne questo cammino liberatore. ….. Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell’articolo 7 nel seguente modo:
“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano “di fatto” – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”.
In una delle sue ultime interviste, Teresa Mattei si rammaricava che fra le discriminazioni indicate nell’articolo 3 della Costituzione, non fosse indicata l’età. “Nella mia ingenuità di venticinquenne suggerii che dopo alcuni giorni dalla nascita, ogni bambino fosse portato dal sindaco del suo paese e messo nelle sue mani e, dopo alcuni momenti, il sindaco lo riconsegnasse ai genitori, in modo che questi capissero che non era di loro proprietà, ma che era loro affidato perché lo crescessero come cittadino. La proposta non venne accettata”. Magnifico e disatteso invito ad un battesimo laico.
Alcuni brevi accenni alla sua biografia: Teresa non smise mai di essere partigiana.
Nacque a Genova nel 1921. In seconda liceo protestò contro l’insegnante che aveva elogiato le leggi razziali. Fu espulsa da tutte le scuole del regno. Riuscì, anche grazie all’aiuto di Calamandrei, a laurearsi in filosofia. Partecipò alla lotta di Liberazione con il nome di battaglia Chicchi, tra i raggruppamenti comunisti che operarono a Firenze. Inizialmente staffetta, divenne Comandante di Compagnia. Catturata dai tedeschi, seviziata e violentata, (racconterà la violenza subita solo dopo molti anni) fu salvata dalla fucilazione per opera di un gerarca fascista. Partecipò all’insurrezione di Firenze e alla liberazione della città dall’occupazione nazi-fascista. Nel 1946 venne eletta nelle liste del PCI alla Costituente.
Nel 1947, rimasta incinta dalla relazione con un uomo sposato, le fu consigliato da Togliatti di abortire. Teresa reagì: «Le ragazze madri in Parlamento non sono rappresentate, dunque le rappresento io». Non accettò passivamente l’imposizione del voto a favore dell’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, per questo rifiutò di candidarsi alle elezioni del 18 aprile 1948. Su Stalin: “Sono stata io una delle prima dall’interno del Pci a denunciarne le degenerazioni”. Fu espulsa dal PCI. Scomparve dalla scena politica, ma non cessò il suo impegno, in particolare a favore del riconoscimento dei diritti delle bambine e dei bambini.
Negli anni Sessanta assieme a Bruno Munari si occupò di ricerca cinematografica, promuovendo il cinema fatto dai bambini come nuova forma di comunicazione e di espressione della loro creatività. Produsse con la cooperativa da lei fondata molti film realizzati interamente dai bambini come attività didattica. Nel 1968 i film dei bambini furono presentati alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia.
Negli anni Novanta elaborò progetti che collegavano cinema e scuola, dando vita a “Radio bambina” un programma costruito da bambine e bambini della provincia di Pisa e Firenze, andato in onda fino al 2000. Partecipò al G8 a Genova. Inorridita per i fatti accaduti e per la palese violazione delle norme costituzionali, si schierò a fianco delle vittime delle violenze. Nel 2006 partecipò alla battaglia per il referendum contro le modifiche alla Costituzione. Si è spenta nel 2013.
“La memoria è un luogo dell’anima” afferma Monica Galfré. In questa intervista il racconto di Teresa diventa quello di tutte.
Le donne che entrano nella Resistenza rovesciano l’idea del femminile imposta dal fascismo e dalla cultura patriarcale e fanno sì che la storia della singola persona si intrecci con quella collettiva portando rinnovamento all’intera società.
Alcuni testi per chi volesse approfondire
Anna Maria Bruzzone, Rachele Farina, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, Bollati Boringhieri, 2016
Michela Ponzani, Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, «amanti del nemico» 1940-45, Einaudi 2021
Benedetta Tobagi, La Resistenza delle donne, Einaudi, 2022
Alessandro Carlini, Nome in codice: Renata, storia di Paola del Din, combattente della Resistenza e agente segreto, UTET, 2023
Teresa Vergalli, Una vita partigiana. Perché la battaglia per i nostri diritti continua ancora oggi, Mondadori, 2023
[1] Dolores Negrello, Donne venete dalla grande emigrazione alla Resistenza, Centro studi Ettore Luccini, Padova 2006
[2] Alessandra Chiappano, Essere donne nei Lager, Giuntina 2009