Vera Politkovskaja, nata nel 1980 a Mosca, è la figlia della giornalista Anna Politkovskaja, nota soprattutto per le sue inchieste, gli articoli e i libri di denuncia sulle violazioni dei diritti umani commesse in Cecenia durante la guerra condotta in quel paese dall’Armata Russa, su disposizioni di Vladimir Putin.

Anna Politkovskaja fu assassinata il 7 ottobre 2006, nell’androne di casa a Mosca, perché era divenuta troppo scomoda a molti. Dopo diversi anni sono stati identificati gli esecutori materiali, ma non i mandanti, anche se i sospetti sul presidente ceceno Kadyrov, che affermava platealmente di odiare la giornalista, sono ragionevolmente fondati. E Kadyrov era e resta un delfino di Putin.

“Nei suoi articoli mia madre parlava raramente di cose piacevoli e quasi sempre era messaggera di cattive notizie. Scriveva la verità, nuda e cruda, su soldati, banditi e gente comune finita nel tritacarne della guerra. Parlava di dolore, sangue, morte, corpi smembrati e destini infranti”. Con tali parole inizia questa coinvolgente testimonianza, intitolata Una madre. La vita e la passione per la verità di Anna Politkovskaja, scritta da Vera Politkovskaja con Sara Giudice (Rizzoli Editore Milano 2023, pag. 193, euro 19,00).

Vera ci offre qui un ritratto privato della madre e della loro famiglia, una famiglia sempre unita, specie nei momenti più difficili. Percorre soprattutto le diverse tappe della carriera della madre, soffermandosi in particolare sui viaggi compiuti in Cecenia, sul suo intervento nel tentativo, purtroppo vano, di mediare tra terroristi ceceni e polizia, quando un commando di estremisti tenne p in ostaggio per giorni migliaia di cittadini moscoviti che si erano recati ad assistere a uno spettacolo musicale al Teatro Dubrovka. In occasione di un’altra simile circostanza, quando terroristi si impadronirono di alunni, insegnanti e genitori nella scuola di Beslan, Anna si offrì nuovamente come mediatrice, ma non raggiunse la meta perché subì un tentativo di avvelenamento durante il viaggio. Fu salvata in tempo, ma riportò danni permanenti alla sua salute in seguito a questo episodio. Sia nel caso del teatro moscovita, che della scuola di Beslan fu una strage cui le forze speciali russe non seppero far fronte.

Emergono in queste pagine non solo la tenacia, il coraggio, la professionalità di Anna, ma anche la sua profonda umanità, l’empatia che provava ed esprimeva nei confronti delle vittime di tante violenze e soprusi. Era divenuta un punto di riferimento per molti e spesso cadeva nello sconforto quando aveva la sensazione di non fare abbastanza. Se aveva paura, nei momenti di maggiore pericolo, cercava di superarla con l’ironia e continuava imperterrita il suo lavoro.

Questa, e tante altre cose ci racconta Vera, che da circa un anno, assieme alla figlia Anna vive all’estero, in un luogo sicuro e tenuto segreto. Vera è una madre sola, che ha deciso di fuggire dalla Russia per proteggere la figlia – che porta il nome e cognome della nonna – dalle minacce, sempre più pesanti di cui era oggetto in ambito scolastico. Chiamarsi Anna Politkovskaja oggi, a distanza di ben diciassette anni dall’assassinio di sua nonna, sembra sia pericoloso, in quanto questo nome evoca situazioni, misfatti, delitti su cui si vuole far cadere l’oblio.

Risultano tristemente assurde le parole che Vladimir Putin pronunciò allora, appena appresa la notizia dell’omicidio della Politkovskaja: “Era ben conosciuta fra i giornalisti, gli attivisti per i diritti umani e in Occidente. Ciò nonostante, la sua influenza sulla vita politica russa era minima”. Quest’ultima affermazione è meschina, falsa e offensiva, non solo nei confronti della vittima, ma dell’intelligenza e cultura del cittadino russo comune. Se non aveva peso, perché eliminarla? Ricordo personalmente quando qui in Italia giunse la notizia della sua morte e i servizi giornalistici che ne seguirono. Ricordo una foto in cui si vedeva, tra i tanti fiori depositati da anonime mani sul luogo dell’omicidio, un cartello con scritte le seguenti parole: “Con te è stata uccisa la libertà di parola in Russia”. Non penso che questo fosse un pensiero isolato.

Oggi Vera teme che di sua madre ci si ricordi solo in Occidente, ma che nella sua patria si siano dimenticati di lei. Personalmente penso che gli ultimi anni siano stati, e continuino ad esserlo, indipendentemente da questa assurda guerra, molto difficili per i cittadini russi che sono desiderosi di esprimere liberamente le proprie opinioni. Basti pensare alla chiusura del centro Memorial, a fine 2021: per me è stata una mazzata, l’ho percepita come un vero sopruso alla libertà di informazione in Russia e uno schiaffo a tutte le vittime delle repressioni staliniane e a quei dissidenti che hanno coraggiosamente lottato per i diritti umani nel loro amato Paese. Perché tutti i dissidenti amavano visceralmente la Russia, e hanno lottato per il suo bene. Temo che molti russi oggi siano reticenti, timorosi nell’esprimere il proprio pensiero: fantasmi del passato si ripresentano e possono far paura.

Vera ci racconta, nell’ultimo capitolo, che qualche mese fa, qualcuno ha vigliaccamente e crudelmente dato alle fiamme la loro vecchia, cara dacia di famiglia, dove tutti amavano ritrovarsi, ed era piena di ricordi. I pompieri non hanno avuto dubbi nel dichiarare che si sia trattato di un incendio doloso. Ennesima minaccia, dunque. Un gesto di spregio, puro e semplice. Però, dopo un po’ di tempo, i vicini si sono accorti che dove un tempo c’erano il giardino e l’orticello che Anna curava con tanto zelo durante i brevi momenti di vacanza, stanno rispuntando i fiori che lei aveva seminato e piantato, e una rigogliosa edera si sta arrampicando sullo scheletro rimasto del piccolo edificio, quasi volesse celarne il contenuto ad occhi indiscreti. E Vera conclude: “Proprio quello che avrebbe voluto mia madre”. Potremmo aggiungere che quei fiori sono il simbolo di un’eredità che Anna ha lasciato non solo alla Russia, ma a tutti noi.

Sandra Fabbro
Sandra Fabbro è nata a Treviso nel 1955. Laureata in Lingue e Letterature straniere (russo e inglese), ha insegnato lingua russa in corsi serali per adulti fino al 1989 e lingua inglese nelle scuole secondarie di primo grado fino al 2015. Ha collaborato alla stesura di unità didattiche finalizzate all’Educazione ai Diritti Umani, quale membro di Amnesty International. Dagli anni 2000 fa parte dell’Associazione Italiarmenia, con sede a Padova, collaborando all’organizzazione delle diverse iniziative di questa. Per il sito dell’Associazione redige recensioni sui libri di carattere armenistico che vengono pubblicati in Italia e queste vengono inserite sotto la voce “Novità librarie”. Ha tradotto dall’inglese “Surviviors. Il genocidio armeno raccontato da chi allora era bambino” di Donald Miller e Lorna Touryan Miller, Guerini e Associati, 2007. Fa parte del Comitato Scientifico per il Giardino dei Giusti del Mondo di Padova

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