Così perdiamo.
A Greta Thumberg, ai ragazzi dei “Friday For Future”, agli scienziati che, in numero crescente, da 40 anni avvisano sui rischi dei cambiamenti climatici: scusateci.
Questo dovranno dire, e scrivere, le classi dirigenti di un paese serio, ferito dalla dolentissima tragedia della Romagna.
Scusateci perché eravamo malpensanti.
Lo siamo ancora, in tanti, malpensanti: usiamo termini come “evento straordinario”, imprevedibilità; usiamo in modo retorico le parole “tragedia” e “dolore” e non ci siamo mai davvero preoccupati, anno dopo anno. Non siamo abituati, per cultura, a studiare e comprendere la forza del clima e la fragilità dei nostri territori (malamente antropizzati). Li abbiamo sempre considerati grandezze che avremmo addomesticato, piegato, a cui avremmo spezzato le reni.
Guardiamo chi ha le reni spezzate adesso, stiamo perdendo la sfida contro noi stessi…
Quando ho vissuto, nel 1966, l’alluvione provocato dalla rottura degli argini del Piave, avevo 11 anni e ricordo il colpo, nel cuore della notte, dell’acqua sulla casa e il paesaggio, straniante, del mondo liquido che tutto avvolgeva; ricordo la fatica nello spalare il fango, il dolore per i miei conigli e galline morti annegati; ricordo che solo le anatre si salvarono. Si salvarono perché erano “progettate” per resistere all’acqua.
Se non ti prepari prima, tutto è difficile, non ce la fai.
Penso oggi ai danni materiali, alle persone, ma anche agli animali di allevamento, ad ogni vita travolta, alle sostanze tossiche dilavate, alla sporcizia, al disordine, a quella paura che poi ti macina, per mesi.
La Romagna, come è successo tante volte altrove, si risolleverà, anche con l’aiuto di tutti.
Ma non possiamo continuare ad avere come modello mentale solo “ce la faremo” e vivere la frequenza di eventi di cui noi stessi siamo cause.
Abbiamo bisogno di istituzioni pubbliche, amministrazioni dei territori, soprattutto i loro uffici tecnici, che non sentano solo le parole seduttive di costruttori, cementificatori, asfaltatori e business men vari. Abbiamo bisogno che quei soggetti che hanno la responsabilità dei territori ascoltino prima climatologi, geologi, esperti di idrodinamica.
Abbiamo bisogno che quei malpensanti diventino la minoranza delle classi dirigenti del paese, soprattutto del nostro.
Abbiamo bisogno che aumentino i benpensanti, quelli che sanno che il P.I.L. che cresce a scapito dei territori è semplicemente l’attesa di una catastrofe; una classe dirigente che faccia correttamente i conti tra ricchezza e costi per ottenerla e poi consideri anche il dolore, lo smarrimento, il senso di sconfitta che serpeggia.
È urgente un cambiamento di percezione: l’aumento dei disastri nei territori va considerato capendo che i tempi con cui agiscono le forze fisiche del pianeta non sono tarati sul nostro calendario. Eventi catastrofici anche a distanza di pochi anni (da Vaia è passato solo un soffio) , se non mesi o settimane, indicano che il processo è velocissimo e, perciò, le misure di attenuazione devono essere la priorità assoluta di una comunità nazionale, soprattutto quando si tratta di un paese meraviglioso, fragile e maltrattato come l’Italia.
Non dobbiamo chiedere scusa dopo a chi sa, dobbiamo ascoltarli prima.
Meglio molto prima…