Tutti l’abbiamo pensato almeno una volta dopo la catastrofe romagnola. E tutti a giocare con la risposta più spiritosa: probabilità zero, anzi meno di zero giocando con il nome del nostro tranquillo fumetto locale. Invece le cose non sono così semplici.
Fedeli ad un certo spirito da menagramo che ci contraddistingue cerchiamo di capire meglio come funziona.
La prima osservazione è su quelli là, quegli emeriti sconosciuti [Lamone Sillaro Montone…] sono fiumi torrentizi che vengono giù diritti dalle montagne mentre i nostri paciosi Zero Dese Sile sono di risorgiva, nascono da acque sotterranee. Fonti più regolari. Beh, non è tutto vero, in caso di precipitazioni esagerate come nel romagnolo, anche gli accumuli sotterranei se si riempiono possono dare più acqua di quella accettabile dagli alvei nostrani. Quindi inondazioni. E una.
Altra osservazione. Gli argini sono ben fatti, alti e sicuri, tengono. Non è vero sempre, ricordiamoci che gli argini sono artificiali, il fiume cercherebbe la sua strada [ehm] per conto suo, cambia ogni tanto percorso e in quel caso non c’è ostacolo che tenga. Inoltre, se proprio vogliamo dirla tutta da qualche anno anche le nutre ci hanno messo le loro zampette traforando le rive. Siamo a due.
La tre è facile. Lo sappiamo tutti, abbiamo costruito troppo e troppo vicino al fiume. Il Veneto ha il record e basta guardare Mogliano e Marcon, l’arancione urbano arriva a qualche metro dallo Zero e Zero Branco ci ha costruito addirittura sopra la piazza. È chiaro che ci potrebbero essere dei disastri notevoli. A questo non c’è rimedio, il danno è fatto. È ora di fare una sosta di riflessione.
Lo Zero è sempre stato tranquillo? Mogliano è sempre stata all’asciutto? Non occorre essere degli storici ma basta sfogliare delle ingrigite foto di moglianesi con gli stivaloni e il pianoterra allagato.
Tre decenni fa al massimo. Se invece avete il pallino della storia andate a consultare le suppliche dei contadini alla Serenissima perché provvedesse contro “Tante e così gravi rovine che patisse noi privati per l’inondazione delle acque sopra le possessioni nostre”. La colpa era di quei fetenti di nobili, proprietari dei mulini, che alzavano le acque per far meglio girare le ruote.
Lo Zero faceva la sua parte. Vicino al Terraglio sull’ex mulino Valerio c’è una targa che parla di “indocile fiume”.
Fine della passeggiata storica e torniamo all’osservazione numero quattro. Cosa si è fatto? Sulle vasche di laminazione, sull’ampliamento dell’alveo, sul consolidamento delle rive, sulla fitodepurazione e sull’installazione di un’idrovora nel moglianese ne parliamo in un’altra puntata. Se vi interessa.
Siamo arrivati alla quinta o alla sesta? Non importa perché sfogliamo un documento da brividi. Bello, ben fatto. È il PDA dentro il PAT (odiosi acronimi) cioè il Piano Delle Acque. L’abbiamo scaricato da internet. Andiamo al capitolo “criticità idrauliche”. Sono 31. Impressionante! Rete fognaria, collettori, pioveghe, acque meteoriche, restringimenti, portata insufficiente, tubazioni in controtendenza e via discorrendo. Trentuno zone critiche distribuite su tutto il territorio comunale. Via Bonotto, via Malombra, via Molino, via Sassi, la Fossa Storta, il Pianton, via Roma, via Casoni e perla finale: la trentunesima. “Fiume Zero: restringimento di sezione in corrispondenza del salto idraulico presente in corrispondenza del mulino dismesso lungo via Terraglio…”.
Mi tranquillizzano, è tutto sotto controllo, i documenti bisogna saperli leggere.
Si va bene ma per sicurezza faccio la domanda iniziale, quella sullo straripamento ad un’amica esperta, gentile e competente. Risposta: “I fiumi veneti di risorgiva, come il Sile il Dese il Marzenego e lo Zero, possono effettivamente straripare e causare danni in determinate circostanze”.
Accidenti, se lo dice lei. Lei, l’amica, è chat GTP, intelligente e artificiale.