“In realtà, nella maggioranza dei politici al potere si riscontra (parliamo in generale), prima ancora di ogni comprovata malizia, una vera e propria forma di imbecillità. Uomini di scarsa, lacunosa o inesistente cultura, essi sono incapaci di concepire qualsiasi programma che non sia la semplice sommatoria delle più disparate e contrastanti iniziative, senza distinguere le utili dalle rovinose: fa loro difetto l’elementare capacità di dedurre gli effetti dalle cause.” (Antonio Cederna, Il bel paese, 1975)
Dopo Ischia, le Marche, la Romagna cosa dobbiamo ancora vedere per comprendere che la “primissima” cosa da fare per mitigare il “rischio idraulico-alluvionale” è bloccare “senza se e senza ma” la cementificazione del suolo?
Purtroppo manca una “lettura combinata” da parte degli amministratori locali e regionali delle conseguenze di una pianificazione urbanistica, “eterodiretta” com’è dagli interessi di privati e delle multinazionali dell’e-commerce, che ignora consapevolmente il “rischio idraulico-alluvionale”. Sembra che la “cultura disgiuntiva”, propria dell’Occidente, abbia ancora una volta la meglio, nonostante i cambiamenti climatici mostrino tutta la “congiunzione” dei “fenomeni innaturali estremi” con gli impatti urbanistici. Purtroppo anche alle maggiori associazioni ambientaliste non frega niente di fermare “subito” nuovo consumo di suolo in Veneto, magari battendosi per “abrogare” con un referendum popolare la legge incostituzionale sul consumo di suolo della regione Veneto che, dal 2017 (anno di emanazione della legge), con 16 deroghe è in testa, assieme alla Lombardia, nelle classifiche del suolo consumato.
L’elenco degli scempi ambientali autorizzati con leggerezza che aumentano in “modo stramaledettamente combinato” il consumo di suolo e il rischio idraulico alluvionale sono, ahimè, numerosi, specie nell’area vasta meridionale della provincia di Treviso.
Lungo la Treviso-mare il Polo Amazon occuperà un’area di 20 ettari (di cui 6 ettari di superficie coperta), il Centro Marchiol impermeabilizzerà 9,3 ettari (di cui 5,3 di superficie coperta), mentre il Maxi Polo della logistica impermeabilizzerà, nella campagna di Casale sul Sile, la bellezza di 50 ettari (di cui una quindicina di ettari di superficie coperta).
Poiché 1 ettaro non urbanizzato trattiene fino a 3,8 milioni di litri d’acqua (Paolo Pileri, Che cosa c’è sotto, Altreconomia) nell’area vasta a sud di Treviso la somma degli 80 ettari complessivi impermeabilizzati da questi tre interventi fa un totale di 304 milioni di litri di acqua meteorica che non verranno assorbiti dalla terra (neutralizzando la loro potenziale carica alluvionale) e tanto meno potranno finire, almeno una parte di essi, in falda. Quei 304 milioni di litri di acqua dovrebbero essere considerati come un frutto da coltivare.
E come lo si coltiva? In piena emergenza climatica è drammaticamente semplice dare una “risposta scientifica”, prima che politica, a questa domanda: negando le autorizzazioni a nuove edificazioni in provincia di Treviso. Ma la Regione Veneto fa di peggio: ha deciso di non sottoporre alla Valutazione di Impatto Ambientale l’enorme insediamento del Polo Amazon. In Provincia di Treviso il suolo consumato è il 16,75% contro una media nazionale del 7,13% (dati Ispra 2022). In quel 16,75% di terra impermeabilizzata (più del doppio della media nazionale) diverse funzioni ecosistemiche vengono compromesse per sempre, non ultima la mitigazione delle ondate di calore (ci sono più di 20 gradi di differenza fra un suolo cementificato o asfaltato ed un prato erboso).
Di quali strumenti potrebbero avvalersi gli amministratori locali e regionali per misurare e “prevenire” l’effetto combinato del consumo di suolo e il conseguente aumento del rischio idraulico alluvionale nei territori? Per rispondere a questa domanda è necessario ampliare lo sguardo: il “rischio idraulico alluvionale” nell’era geologica dell’Antropocene supera i confini amministrativi dei singoli comuni (come i fiumi e i piccoli corsi d’acqua) e si determina a seguito di più interventi urbanistici slegati tra loro che consumano la terra (il suolo) in più momenti, nel “tempo” e nello “spazio”.
“E’ la somma che fa il totale” diceva Totò in un film degli anni ‘60. In campo ambientale, per far fronte ad una delle più gravi conseguenze dei cambiamenti climatici, può essere d’aiuto la V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica), non condizionata però dagli interessi di privati e multinazionali del commercio globale.
La V.A.S. dovrebbe essere il risultato di una valutazione della “somma” di più interventi che consumano la terra (il suolo) in più momenti, nel “tempo” e nello “spazio fisico, geomorfologico” e che possono determinare il “totale”, ossia un aumento del “rischio idraulico alluvionale” di un’area vasta. La V.A.S. dovrebbe essere una valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) di “area vasta”, quale potrebbe essere considerata l’area martoriata meridionale della provincia di Treviso che va da Casale sul Sile, Roncade fino a Treviso (comune in default ecologico e infrastrutturale: tra consumo di suolo al 39,79%, nuovo Terraglio Est, infrastrutture legate all’ampliamento dell’aeroporto, tangenziale quarto lotto, ecc.), passando per Mogliano Veneto (che ha già dato decine di ettari di fertile campagna agricola per il passante di Mestre). La V.A.S. In base all’art. 4 del D. Lgs.. 152/2006 “ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile”.
In Veneto la V.A.S. deve considerare “un’area vasta” come un “ecosistema complesso e fragilissimo” e definire il grado di pericolosità idraulica in base alla miriade di fossi e piccoli corsi d’acqua interrati e tombinati allo scopo di asfaltare e cementificare, alla quantità di corsi d’acqua presenti e, soprattutto, alla quantità di terra naturale ancora in grado di fornire “servizi ecosistemici”. Il continuo stillicidio di aree verdi va contro la necessità di difendersi dagli effetti dei cambiamenti climatici. E smettiamola con la prosopopea dei posti di lavoro, spesso fasulli o precari, a proposito della “terra veneta” rubata dalla “logistica” del “mercato globale”, Come se fosse naturale la vorace e feroce “colonizzazione commerciale globale” che sottrae alle popolazioni locali la terra su cui coltivare cibo e infrastrutture verdi. Come se fosse naturale, in Italia, a proposito di posti di lavoro, la chiusura in 10 anni di 500.000 aziende agricole. Come se fosse naturale la perdita di posti di lavoro locali, spazzati via dalla globalizzazione/digitalizzazione imperialistica di Amazon e relativo deterioramento dell’economia sociale dei territori. Come se fosse naturale la difficoltà di piccoli artigiani, piccoli negozi, piccole imprese a stare sul mercato, magari con posti di lavoro a norma. Come se non bastasse, cari veneti, mettetevelo bene in testa che quegli 80 ettari di suolo agricolo (e quei 304 milioni di litri di acqua che non vengono assorbiti dalla terra permeabile e che se non inonderanno scantinati o abitazioni comunque evaporeranno e non finiranno certamente in falda a mitigare la siccità) per la regione Veneto e la sua legge multi-deroghe non vengono conteggiati come suolo consumato.
Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire