Una cara amica, Daniela D., da sempre impegnata nel mondo del volontariato, dopo aver letto il mio articolo in ricordo di Paulo Faggian mi ha fatto i complimenti per aver riconosciuto che non la mia ma la posizione di Paulo era giusta, in merito alla decisione da prendere su un tema edilizio di anni fa, quando eravamo entrambi consiglieri comunali. A suo avviso, questo dovrebbe essere lo spirito di chi s’impegna a gestire la cosa pubblica, e tira in ballo l’arte della “mediazione” (e anche della meditazione, aggiungo) come principio fondante della politica. Mi chiede inoltre di scrivere qualcosa in proposito, perché a suo parere oggi siamo tornati ad essere il popolo esasperato e litigioso dei Guelfi e dei Ghibellini senza riuscire a cavare un ragno dal buco.
Cara Daniela, tu mi chiedi di sbrogliare il problema dei problemi – il sogno di un’accettabile convivenza sociale e umana – ma basta scorrere la nostra storia, prima e dopo i Guelfi e Ghibellini, per capire quanto controverso sia stato il cammino del popolo dello Stivale. Francamente, è un quesito al di sopra delle mie possibilità di risposta. Posso solo ragionare, sulla scorta della mia esperienza, sugli avvenimenti che stanno alla base delle più recenti vicende.
Penso cioè che il tasso di aggressività e il deficit di rappresentatività attuale siano cresciuti con il cambio del sistema politico ed elettorale, transitato dal modello proporzionale al maggioritario, e con diverse applicazioni a seconda dei livelli di amministrazione (Comuni, Regioni, Stato, Europa).
Con il superamento della struttura-partito (il ricordo va alla cancellazione della DC, del PSI e di altri partiti minori all’epoca di “Mani Pulite”) e l’introduzione del sistema maggioritario ci si proponeva di dare stabilità alla governabilità, ma al tempo stesso è stata anche depotenziata l’inclusività delle istituzioni e ingessata la rappresentanza corale del Paese.
Un tempo i partiti garantivano le diverse istanze delle componenti sociali, ne erano un filtro collaudato, e facevano valere il loro peso per trovare accordi più o meno accettabili fra le parti (la cosiddetta mediazione, punto di bilanciamento delle diverse esigenze); ciò valeva anche per le forze sociali, con continui confronti fra sindacati e associazioni di categoria.
Con il sistema maggioritario tutto questo è stato cancellato. Chi vince nella maggior parte dei casi non va oltre il 30%, ma poi governa per tutti (una parte per il tutto) e l’opposizione è ridotta a pura testimonianza. Chi vince s’impadronisce del sistema e lo gestisce in molti dei suoi aspetti, le minoranze sono messe all’angolo, contano zero e il loro potere di voto è completamente svuotato.
Basta partecipare a un Consiglio Comunale, o Regionale, o una seduta parlamentare per rendersi conto di questa realtà. Ben diversi erano i confronti nella prima Repubblica e gli esiti delle mediazioni e possibili accordi (da non confondere con il consociativismo).
Con ciò, cara Daniela, non intendo esprimere una preferenza, semplicemente rilevare che il maggioritario ha reso quasi impraticabile la mediazione fra le parti che tu chiedi, acuendo ipso facto lo scontro politico.
Devo comunque dire che ci sono princìpi, valori e visioni che rendono in ogni caso difficile la mediazione. Questo mi ha insegnato Paulo e penso che oggi, io e lui, saremmo dalla stessa parte, impegnati a promuovere quell’ecologia integrale che può salvare il mondo, poco inclini a mediare con coloro che utilizzando il termine “sostenibilità” continuano a cementificare e a distruggere risorse naturali, pure nei confronti di qualche “verde” della prima ora che nel frattempo si è convertito ai fuochi d’artificio della tecnocrazia.