Ad elevare ulteriormente la torre di babele di “linguaggi green washing propagandistici” e di “commenti autoassolutori” sulle “cause” e sugli “effetti” dei cambiamenti climatici contribuisce anche chi sta governando il Veneto dal 2005: da ben diciotto anni.
In un’intervista rilasciata ad una delle tantissime ossequiose “testate mediatiche mainstream” il governatore (e per favore non chiamatelo Doge: il “venetismo leghista” non c’entra nulla con la Repubblica di Venezia), dopo aver parlato degli “effetti” dei cambiamenti climatici in Veneto e della ennesima proclamazione dello stato di emergenza a carico di Roma ladrona (autonomia differenziata????), invoca una “no-fly-zone” per far fronte comune, senza divisioni ideologiche e posizioni precostituite, agli effetti di questa emergenza planetaria.
Senza “pudore politico” omette il contributo rilevante delle scelte amministrative del suo “malgoverno del territorio” alle “cause” e agli “effetti” dei cambiamenti climatici che accompagnano da diciotto anni il miracolo del Nord-Est a denominazione “PVL”(Prodotto Veneto Lordo).
In questa “narrazione asettica” del fenomeno dei cambiamenti climatici il governatore è aiutato dalla mancanza di una “op(posizione)” che sappia coraggiosamente proporre ai veneti un modello di sviluppo alternativo, una “posizione”, cioè, che sappia sottrarsi ad una narrazione omologante e consociativa con il risultato che le emissioni climalteranti, l’inquinamento, la “perdita di servizi ecosistemici” legati al “consumo di suolo” e alla “deforestazione urbana” hanno proseguito il loro trend senza soste, sia durante i governi di centro-destra e sia durante i governi di centro-sinistra e come lo stesso copione si stia ripetendo “bipartisan” negli enti locali.
Trovo sfacciato il maldestro tentativo di presentare l’emergenza climatica quasi come un “accadimento esterno” a cui non ha contribuito il “libero arbitrio politico” della sua “governance”, una governance che sta comportando il consumo irresponsabile di risorse naturali, la riduzione di biodiversità e l’alterazione dei cicli naturali dell’acqua, del carbonio, dell’aria.
In tale narrazione accomodante, filtrata dai logaritmi della comunicazione social, resta così fuori il tema centrale dell’emergenza climatica: l’accettazione del “limite”, come scelta politica, all’antropizzazione consumistica di risorse naturali.
In tale narrazione “generalista” (il termine autonomia è sparito) il governatore del Veneto lascia fuori dalla “porta mediatica” l’enorme impatto antropico del miracolo del Nord Est sull’ambiente, sul consumo di suolo, sulle emissioni del traffico su gomma della rete viaria veneta, sui livelli di inquinamento delle acque sotterranee e di superficie, sulla perdita di sovranità alimentare, sul clima.
Quando, invece, tale imponente e diffuso degrado ambientale si è materializzato attraverso leggi, scelte politico-economiche e l’azzeramento di qualsiasi forma di pianificazione urbanistica, vista come un freno all’espansione del consenso e che, in nome dell’auspicata autonomia differenziata, ha dato e sta dando il suo copioso contributo alle “cause” dei cambiamenti climatici e al dispiegarsi dei loro “effetti” catastrofici sull’ambiente.
Invocare una “no fly zone” (termine orribile) politico-emergenziale senza riconoscere la responsabilità e l’incidenza del proprio operare politico-amministrativo sulle “cause” e sugli “effetti” dei cambiamenti climatici è solo uno sterile e distrattivo blaterare.
Lo “sguardo ribelle” che propongo su tale narrazione distrattiva si basa su considerazioni di tipo scientifico visto che è scientificamente dimostrato come il suolo non cementificato (e agricolo in particolare) sia il più grande stoccatore di CO2 e il più grande immagazzinatore di acqua meteorica.
La Regione Veneto, affinché il parlare di cambiamenti climatici non si trasformi in uno sterile e distrattivo blaterare, imponga allora una “moratoria su nuovo consumo di suolo” che lo azzeri da subito e mandi in soffitta la legge regionale sul contenimento del consumo di suolo che prevede entro il 2050, al netto di ben 16 deroghe climalteranti, di consumare ancora suolo per 9727 ettari, oltre a disporre di una ulteriore riserva di suolo consumabile a disposizione della “giunta regionale” di 8530 ettari.
La Regione Veneto utilizzi le risorse del PNRR per la manutenzione delle infrastrutture grandi e piccole esistenti, per contrastare il dissesto idrogeologico e non per crearlo con nuove infrastrutture, magari rinunciando agli scempi olimpici che genereranno nuova spesa pubblica secondo una assurda e intollerabile “dis-economia circolare”. La Regione Veneto rinunci a nuove infrastrutture stradali prendendo esempio dalla regione tedesca del Brandeburgo dove il Ministro dei Trasporti del land tedesco, un democristiano, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 afferma senza mezze misure: “basta strade; mai più asfalto; bus e treni ogni ora in ogni borgo”.
La Regione Veneto si ravveda: nel periodo 2003-2017 ha speso 1094,71 milioni di euro per infrastrutture stradali e solo 93,85 milioni di euro per ferrovie e metropolitane (Pendolaria 2017 Legambiente). La Regione Veneto smetta di finanziare la monocoltura del Prosecco e dirotti le risorse per ridurre l’esposizione della popolazione veneta alle polveri sottili: ben 6 città su sette per tutto il decennio dal 2010 al 2019, dieci anni su dieci, hanno superato i limiti di legge di 50 microgrammi/m3 per più di 35 giorni l’anno (Mal’aria- 2020 Legambiente).
La Regione Veneto, primatista assieme alla Lombardia, per suolo consumato e artificializzato investa risorse e incentivi per dare una funzione ecologica alle superfici naturali perdute per sempre (tetti di edifici, parcheggi, aree degradate e impermeabilizzate in corrispondenza di infrastrutture esistenti) evitando la pannellizzazione fotovoltaica del suolo agricolo sopravvissuto al miracolo del NordEst, magari cominciando dalla superficie dei 410 chilometri quadrati occupati dai 92.000 capannoni presenti in Veneto (Assindustria Veneto Centro 2019).
In Veneto solo il rispetto di queste ed altre condizioni “riparatorie” dei danni dell’antropocentrismo rende possibile un’assunzione di responsabilità politica e morale che non trasformi il parlare dei cambiamenti climatici nei “media mainstream” in uno sterile e distrattivo blaterare.