– Il Polesine e l’alluvione del 1951 –
“Il fiume Po ha superato di ottanta centimetri la massima piena e continua ad aumentare, creando una situazione assai grave in provincia di Mantova e addirittura tragica in provincia di Rovigo, dove si ritiene quasi impossibile evitare una rottura degli argini“.
Con questo comunicato battuto dall’agenzia Ansa, alle 23 di mercoledì 14 novembre 1951, al quale ne sarebbe seguito un altro, alcuni minuti più tardi, più drammatico, l’Italia veniva a conoscenza di quella che sarebbe stata a breve definita come la madre di tutte le alluvioni, e prima calamità a diventare un evento mediatico.
Questo era il Po, amico fiume di casa nostra. La rabbia l’ha sconvolto”, avrebbe commentato una settimana più tardi, le prime immagini trasmesse dai cinegiornali, Guido Notari, storica voce della Settimana Incom.
Qualche giorno prima, a rendere l’idea del dramma abbattutosi sul rodigino, ci aveva pensato Walter Molino, dedicando una tavola, pubblicata sulla Domenica del Corriere: una donna, a bordo di un’imbarcazione, che tiene stretta al petto la sua creatura. Sui loro volti, la paura, e la disperazione.
Una valanga di otto miliardi di metri cubi d’acqua, centodieci mila ettari allagati, centottanta mila profughi, centouno morti.
Questi i dati della catastrofe che Francesco Jori, editorialista di alcuni quotidiani veneti, e friulani, legati al gruppo Gedi, espone nel suo libro “I giorni del diluvio – Il Polesine e la grande alluvione del 1951″(pagine 263, Biblioteca dell’immagine editore, anno 2021), pubblicato in occasione del settantesimo anniversario della tragedia.
Con il suo stile semplice e diretto, Jori, già autore di alcuni libri sulla storia del Veneto, narra la cronaca di quei giorni, riportando stralci dei reportage firmati da Gian Antonio Cibotti, storico giornalista de Il Gazzettino, e come questa fascia di terra, considerata per decenni “zona depressa”, abbia saputo gettare le basi per una (ri)nascita economica, e culturale.
Rinascita culturale, alla quale Sergio Frigo ha dedicato l’ultimo capitolo, raccontando come arte, e letteratura, abbiano riscoperto il Polesine.
Un lavoro, quello di Jori, che mette in evidenza due aspetti importanti, sui quali invita a riflettere: il primo, legato all’attività politica, e burocratica, messasi di traverso all’opera di ricostruzione, portata a termine in soli due mesi, dal sottosegretario Giuseppe Brusasca. a dispetto delle più rosee previsioni, che parlavano di due anni.
Il secondo aspetto, legato invece all’eterno rapporto tra l’Uomo, e l’Ambiente, di come il grande fiume sia stato nel corso del tempo, oggetto di modifiche al suo corso d’acqua, provocando altre inondazioni, allagando anche paesi al di là del suo argine destro.
A corredare il libro, un capitolo dedicato alle fotografie, tratte dai servizi giornalistici dell’epoca.