Nel Dicembre del 2001 il mondo sembrava attraversare una fase di cambiamento profondo e senza ritorno. Mentre i più giovani celebravano l’uscita nei cinema del primo film della saga di Harry Potter, gli adulti ascoltavano preoccupati gli aggiornamenti dell’appena cominciata guerra in Afghanistan e attendevano (con forse ancora maggiore preoccupazione) l’arrivo dell’euro con il nuovo anno.
Mentre tutto questo accadeva, un’altra notizia compariva sui giornali, forse offuscata dall’ombra delle altre più dominanti: l’Argentina cadeva in uno stato di default finanziario, non essendo più in grado di rispettare le condizioni di supporto dettate dall’International Monetary Fund. Unepilogo forse inevitabile, sicuramente prevedibile, di una fragilità economica che si protraeva da decenni e che aveva costantemente accompagnato l’Argentina nei difficili periodi di transizione sociopolitica del Ventesimo secolo.
Diventa tuttavia difficile definire i fatti del dicembre 2001 un vero e proprio epilogo quando, guardando alla situazione del paese nell’Ottobre 2023, si nota come quelle difficoltà non sono mai state realmente superate e la stabilità finanziaria dell’Argentina è ben lontana dall’essere una realtà. Solamente negli ultimi 12 mesi l’inflazione annuale è salita costantemente fino a toccare ad agosto 2023 124 punti percentuali (fonte Trading Economics), il livello più alto dal 1991. Come la storia insegna, l’instabilità economica comporta instabilità politica, e tale è il caso anche dell’Argentina, che negli ultimi due decenni ha visto diversi governi succedersi nel tentativo di riprendere il controllo della situazione. La vita quotidiana si è fatta sempre più difficile, la frustrazione è salita sempre più, e il risultato di tutto ciò troverà probabilmente espressione nelle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 22 ottobre.
Il candidato favorito, Javier Milei, economista ultraconservatore nonché uno dei milioni di Argentini di famiglia italiana, ha come priorità il ritorno della stabilità finanziaria ed economica per l’Argentina – fin qui nulla di strano. Quale tuttavia la sua strategia per raggiungere questo obiettivo, ambizioso quanto vitale? La “Dollarizzazione”, termine che indica l’ufficiale adozione da parte di uno stato sovrano del dollaro statunitense come propria valuta ufficiale, sopprimendo quindi la valuta stampata e gestita internamente (il Peso, in questo caso). È bene descrivere il contesto: il dollaro è, di fatto, già valuta operativa sul territorio argentino. Diverse aziende hanno già introdotto la possibilità per i propri dipendenti di ricevere lo stipendio in dollari, nonostante la presenza contemporanea sul mercato di diversi tassi di cambio renda l’operazione particolarmente complicata.
Il piano di Milei, tuttavia, prevede di superare questa situazione, fattuale ma ufficiosa, ponendo definitivamente l’Argentina sotto l’ala della Federal Reserve. Non si tratterebbe di un’operazione senza precedenti, dato che altri stati sudamericani come Panama e Ecuador hanno a loro volta adottato il dollaro come propria valuta – non per questo tuttavia l’operazione sarebbe semplice o indolore, considerato anche il fatto che l’Argentina rappresenta la seconda economia del Sud America. Anche ammettendo che il paese riesca, nell’arco di 18-24 mesi, a completare il cambio di valuta e ripristinare un livello accettabile di stabilità finanziaria, non è da dimenticare o sottovalutare che da quel punto in poi l’Argentina vedrebbe la propria economia dipendere pesantemente dalle decisioni del Governo e delle istituzioni finanziarie Statunitensi. E risulta un po’difficile immaginare il Governo statunitense prendersi lo scrupolo di chiedere il parere del Governo argentino prima di prendere decisioni con impatto sulla propria valuta.
I prossimi mesi mostreranno che direzione potranno prendere gli eventi, per il momento ciò che si può chiaramente vedere è che i rabbiosi sismi e tsunami che da alcuni anni stanno scuotendo l’economia mondiale stanno anche lentamente ridisegnando la cartina politica del pianeta.