Intendo quello passato domenica 15 ottobre al teatro dell’Astori nell’ascoltare il prof. Bacchetti dell’Istituto di Storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Belluno, nel vedere il bel documentario di Nicola Pittarello: “Vajont un tragedia italiana” e nell’ascoltare i ragazzi del Liceo Berto e dell’istituto Astori citare e mettere a confronto articoli di alcuni grandi giornalisti scritti a ridosso dell’evento.
L’iniziativa dell’Agesc per ricordare l’anniversario di un disastro, come quello del Vajont, causato dall’uomo, mi ha colpito fin dall’accurata esposizione delle prime pagine dei giornali visionata al Centro Sociale, esposizione utilmente accompagnata dagli studenti per chi avesse voluto approfondire.
L’interesse per il sessantesimo anniversario è collegato alla perdita dei miei zii e dei miei tre cugini nel disastroso evento.
Della mattina del 10 ottobre 1963, studente alle medie nell’edificio che attualmente ospita gli uffici comunali a fianco del Terraglio, ricordo il passaggio di mezzi dei vigili del fuoco e autoambulanze a sirene spiegate. Inizialmente si pensava c’entrasse Marghera, poi siamo venuti a sapere che invece il movimento era verso nord, verso Longarone. Qualche ora dopo mi ritrovai a piangere nella consapevolezza che non avrei più rivisto persone simpatiche e amabili com’erano i cinque componenti della famiglia Perazza, tra cui il più grande, quasi mio coetaneo, era stato compagno di giochi le poche volte che ci si era frequentati.
Tanto più utile questo pomeriggio all’Astori perché il documentario mi ha fatto tornare alla mente lo zio Luigi Perazza che da Mogliano tentò di seguire in prima persona il processo, spostato all’Aquila, con altri sopravvissuti.
Spostamenti fatte a spese proprie fino all’infelice chiusura della vicenda processuale in Cassazione che vide gli imputati condannati a pene leggere con la giustificazione che, quando una nazione spinge al massimo per il suo progresso può capitare che si facciano errori (sic)!
Ci lascia stupiti leggere che alcuni nostri politici propongano oggi una diga sul torrente Vanoi al confine tra Trentino e Veneto che verrebbe realizzata in condizioni in qualche modo analoghe a quelle del Vajont; mentre al contempo un ministro giustifica la ripresa delle perforazioni metanifere nell’alto Adriatico, già negli anni ‘70 condannate da Montanelli e da Italia Nostra, in quanto avevano provocato (all’epoca era l’AGIP se ben ricordo a estrarre metano) fenomeni di subsidenza tra Ravenna, il Polesine e Venezia. La giustificazione sarebbe, uso il condizionale perché spero non sia vero quanto attribuito al Ministro, che, visto che le fanno i croati perché non dovremmo farle noi!