Su “ILDIARIOonline” Stefano Di Michele pubblica un articolo che esprime giusta soddisfazione: è stato lui il motore delle belle iniziative, rivolte soprattutto alle scuole, che a Mogliano hanno animato la commemorazione del 9 ottobre, 60° anniversario della tragedia del Vajont.
È TEMPO DI IMPARARE QUALCOSA scriverà Tina Merlin nei giorni che seguirono l’evento disastroso, che poi lei definirà “olocausto” nel magnifico libro che pubblicherà nel 1983, vent’anni dopo la tragedia, con il titolo “Sulla pelle viva”.
Lo riprendo in mano, perché il concetto di “imparare qualcosa”, cioè che il fatto di aver provocato quasi duemila morti e la distruzione totale di interi paesi almeno costituisca una lezione per il futuro, mi disturba da molto tempo, dopo aver constatato che questa lezione non è stata appresa per niente dalle classi dirigenti.
Nell’introduzione al suo libro Tina scrive: “La SADE, il monopolio che uccise, faceva i suoi affari come tutti gli imprenditori privati del mondo. Sapendo che li poteva impunemente fare, che glieli lasciavano fare. Era il burattinaio che tirava i fili e faceva muovere i burattini – scienziati e politici – come voleva. Il potere era lei, perché il vero potere aveva abdicato.”
Non possiamo negare che in questo breve paragrafo sia contenuta una visione, lucida e completa, di come funzionano le cose, ma anche di come purtroppo avrebbero continuato a funzionare anche dopo. In un altro punto del libro Tina scrive che la SADE era “uno stato nello Stato”. Possiamo non vedere che anche adesso ci sono grandi imprese che si muovono impunemente come fossero organismi più potenti dello Stato?
Per esempio, l’ENI, grande multinazionale della chimica legata agli idrocarburi fossili. Implicata in alcuni gravi incidenti, in cui i servizi pubblici deputati al controllo si sono invece comportati come se dovessero solo nascondere e tranquillizzare la popolazione.
Il 26 settembre 1976 nello stabilimento petrolchimico ENI di Manfredonia si verificò lo scoppio della colonna di lavaggio dell’impianto di sintesi dell’ammoniaca, provocando la fuoriuscita di diverse tonnellate di arsenico, che hanno investito un intero quartiere della città, distante poche centinaia di metri… L’azienda inizialmente non comunica nulla, salvo poi dichiarare che la nube fuoriuscita era semplice vapore acqueo… Ci sono voluti vent’anni perché le autorità pubblicassero i dati di eccesso di mortalità per tumori e leucemie, che erano tragicamente evidenti a tutta la popolazione (fonte Wikipedia).
C’è la storia della MITENI (MITsubishi + ENI) di Trissino nel vicentino che ha prodotto per 50 anni impermeabilizzanti liquidi noti come PFAS… Le stime dell’Ispra riguardano la contaminazione della falda acquifera (la seconda più grande d’Europa) di una vasta porzione di territorio in Veneto. I circa 350 mila cittadini coinvolti vivono nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Si calcolano almeno 700 chilometri quadrati compromessi… Su pressione delle associazioni ambientaliste tra il 2015 e il 2016 è partito un biomonitoraggio a campione. I valori elevati di PFAS nel sangue hanno spinto il Consiglio dei ministri, nel mese di marzo 2018, a dichiarare lo stato di emergenza (Il Manifesto – giugno 2022).
Un altro concetto molto lucido, direi quasi preveggente, che Tina Merlin scrive nella introduzione del suo libro è che vicende come quella del Vajont “minano la fiducia popolare nella scienza, nella tecnica, nella politica”. Aveva già previsto la grave crisi di fiducia che osserviamo ai giorni nostri, in cui sempre meno persone credono nella medicina, nelle istituzioni e nella politica.