…si chiedono Cesare De Piccoli e Maurizio Cecconi. A parer mio…
Ho assistito a Mogliano nelle settimane scorse alla proiezione del docufilm “Una festa per la città” realizzato dalla Fondazione Rinascita 2007 per ricordare la straordinaria esperienza della Festa dell’Unità nazionale realizzata a Venezia nel 1973. È un documento filmico molto interessante, racconta gli slanci, gli ideali, l’impegno politico di quella fervente stagione.
Al termine della proiezione, Cesare De Piccoli e Maurizio Cecconi, che furono tra i protagonisti della stagione veneziana di Enrico Berlinguer, hanno integrato la narrazione arricchendola con il loro punto di vista. Testimonianze con qualche dissimile sfumatura, ma convergenti nel sottolineare gli ideali e la passione politica di quella stagione, ed in particolare concordi sulla domanda finale, rivolta a se stessi e a tutta la platea in ascolto: perché la politica non ha saputo negli anni successivi coltivare quella voglia di civile partecipazione? In che cosa ha sbagliato la generazione di allora, visto come vanno le cose oggi?
A parer mio, certo! certo che la politica ha diverse colpe, la principale delle quali è non aver percepito i segnali di decomposizione del “sistema partiti”, con la conseguente perdita del proprio peso specifico nei confronti di altri dominus emergenti nella società. E tralascio molte altre.
Ma non è, sempre a parer mio, la causa principale di ciò che è accaduto negli ultimi quarant’anni. Ci sono tre fattori da considerare, per importanza in ordine crescente.
Considerate ciò che è avvenuto nel “sistema industria” dagli anni 80 in poi: la destrutturazione di questo sistema, con la parcellizzazione o la delocalizzazione produttiva, con la smobilitazione di quella “massa operaia” che tanto aveva inciso con la sua potenza di fuoco nei decenni precedenti (quando i metalmeccanici raggiungevano Roma spesso cadeva il governo).
Aggiungete lo sviluppo tecnologico, che con i suoi automatismi ha espulso migliaia di lavoratori dai poli industriali.
Ma questo declino (forse una lungimirante politica avrebbe potuto evitarlo?) mai si sarebbe verificato se non ci fosse stato un profondo mutamento del modo di intendere la vita da parte degli italiani, tutti i ceti inclusi, affascinati dai miraggi del neoliberalismo, dal self made man, dalla progressiva espansione di un individualismo che ha incenerito qualsiasi forma di rappresentanza collettiva, complici i bombardamenti quotidiani delle tv commerciali.
Così oggi ci troviamo di fronte a un esercito di narcisisti, transitati, come dice il filosofo teologo Vito Mancuso, “dal super ego all’ego super”. In tutti i settori della società è lo spettacolo dell’io che impera: nella politica come nell’economia, nella tecnocrazia come nella cultura, con una spietata competitività e la progressiva estinzione dei valori che dovrebbero contraddistinguere la nostra umanità: l’etica, la cooperazione, la giustizia, la libertà.
Risultato: guerre a noi vicine (Russia Ucraina; Israele Palestina; e tante altre); pianeta sconvolto dal surriscaldamento climatico; crescente aumento delle povertà e tanto altro ancora. Ma le piazze restano vuote, la storia sembra essere diventata un film da guardare, con bibita alla mano, sul divano.
Cari Cesare e Maurizio, se mi guardo intorno devo dire che oggi solo alcune isole del mondo cattolico, poche altre del mondo laico ed ecologista (associazioni benemerite) si sforzano, pur tra mille difficoltà, di ricordarci la necessità dell’agire comunitario e l’urgenza di recuperare i valori a fondamento della nostra esistenza. Con a capo un grande “condottiero”: Papa Francesco, l’unico vero leader mondiale a parlare, con il limpido linguaggio della verità e a spron battuto, ogni giorno di pace, inclusione, terra madre e compassione.