Non dobbiamo avere paura di pronunciare tre parole: “consumo suolo zero”. Quando? Adesso, ora, oggi, nel 2023 e non nel 2050: almeno in Italia, almeno nella Pianura Padana, almeno in Veneto. L’inavvertito consumo di suolo non è un fenomeno extraterrestre, un destino a cui siamo condannati da forze soprannaturali, ma il frutto di un processo umano, creativo di bruttezza e artificialità, che insinua disarmonia nel nostro rapporto con la naturalità del nostro essere nel mondo e immanente alla nostra “visione antropocentrica ed economicistica” della vita sulla terra.
Dobbiamo avere il coraggio di posare uno “sguardo sovversivo” sulla “cemento-dipendenza” che sta sterminando i prati, specialmente in Veneto. Uno sguardo che abbracci e colga con gli occhi entusiasti di un bambino la “dimensione olistica” della terra (del suolo) per i suoi innumerevoli doni ecosistemici: una dimensione da cui l’antropocentrismo ci ha gravemente allontanato. La “lotta ambientalista” deve far venire alla luce i limiti di una ignorante politica locale e nazionale sul valore di un “bene comune” come il “suolo” e i limiti di una narrazione mediatica mainstream asservita al potere economico e alla sua idea di “sviluppo cementocentrico”.
Allo scopo di fermare lo “sterminio dei prati” l’ambientalismo deve assumere la “centralità ecosistemica” del suolo e difendere la sua “trasversalità ecologica” già presente, in modo diretto o indiretto, in singole battaglie ambientaliste locali (forestazione urbana, inquinamento e temperature estive nei centri urbani, agricoltura e allevamenti intensivi, mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, dissesto idrogeologico, ecc.). Per realizzare questo obiettivo l’ambientalismo deve proporre una “diversa chiave di lettura” sulle normative che dovrebbero fermare il consumo di suolo: inefficaci o assenti, sia locali, sia nazionali.
Uno “sguardo sovversivo” va posto, qui e ora, sulla “legislazione beffarda” della Regione Veneto che con la legge nr.14 del 6 giugno 2017 e la successiva delibera della Giunta ha stabilito si possano consumare 18.257 ettari dal 2017 al 2050, spalmati tra i 541 comuni del Veneto. Il problema della “catastrofe suolicida” veneta risiede nel fatto che la totalità delle ricorrenti e visibilissime tipologie di consumo di suolo che vediamo abbattersi dal 2017 sui nostri prati e nei pochi spazi verdi delle nostre città non concorrono al raggiungimento di quei 18257 ettari perché sono oggetto di “deroghe”. Per la precisione sono 16 le deroghe (di cui 4 hanno dispiegato la loro carica esentativa in una prima fase di applicazione della legge regionale) e hanno, di fatto, instaurato un “regime di esenzione” per la quasi totalità delle colate di cemento riversate sui campi del Veneto dal 2017, anno di entrata in vigore della “legge ossimoro”.
La quantità di interventi urbanistici che, oltre a consumare suolo non vengono scalati dai fatidici e ingiustificati 18.257 ettari è impressionante, tanto quanto l’indifferenza della politica. Non vengono considerati consumo di suolo gli ettari delle infrastrutture stradali (ad esempio i 900 ettari della Spv o i 19 km della strada “elettoral-clientelare” del mare verso Jesolo, più tutto il compulsivo incremento della viabilità locale), opere classificate di pubblica utilità (la defunta nuova pista di bob di Cortina sarebbe stata considerata tale?), poli logistici industriali, commerciali (Amazon, Marchiol, ecc.), nuovi supermercati (cresciuti come funghi anche uno accanto all’altro), occupazione degli “spazi verdi” nei centri urbani, chiamati dalla legge in modo eufemistico “aree di completamento” (di cemento?), villette singole presenti in aree appetite dalla “rendita immobiliare” trasformate in condomini (modello “Mani sulla città”). Il consumo di suolo annuo dopo l’entrata in vigore di quella famigerata legge è addirittura aumentato rispetto al periodo dal 2012 al 2016.
In Veneto la realtà dei dati statistici, riproposti annualmente dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), condannano l’inerzia dell’ambientalismo e l’ignavia della politica (nel 2017 e nel 2018 il Veneto è stato al primo posto in Italia per suolo consumato e negli anni dal 2019 al 2022 si colloca stabilmente al secondo posto dopo la Lombardia).
Per scuotersi dal clima commemorativo annuale per la perdita irreversibile di suolo in Veneto la “lotta ambientalista” non può esimersi da una “raccolta di firme” per un “referendum abrogativo” di quella legge, anche per coinvolgere i cittadini veneti sulla sottrazione di un bene comune e renderli partecipi di quello che sta accadendo sotto i loro piedi. Un “referendum abrogativo” accompagnato dalla richiesta di applicare per alcuni anni una “moratoria” su nuovo consumo di suolo e da un “censimento obbligatorio” e su base “intercomprensoriale” e regionale (non su base comunale) dell’enorme patrimonio edilizio industriale in disuso (11.000 capannoni in Veneto) e civile (in Italia ci sono 10.000.000 di case inutilizzate, Istat 2019) con l’obbligo del “riutilizzo funzionale” di quello che c’è già. Basta, ad esempio, assecondare i profitti delle lobby della grande distribuzione in cambio di una manciata di posti di lavoro precari, inevitabilmente accompagnati dalla lenta e inesorabile chiusura dei piccoli negozi e dalla perdita di posti di lavoro in altri contesti produttivi locali.
Di cosa ha ancora bisogno l’ambientalismo per “agire” e “lottare”, qui e ora, contro la “metastasi ecologica” dei servizi ecosistemici del suolo?
L’ambientalismo, a mio parere, deve procedere ad “un’elaborazione politica autonoma” dalla partitocrazia e prendere atto del “consociativismo del cemento” che accomuna centrodestra e centrosinistra, sia nel governo del paese (dove si sono avvicendate negli anni maggioranze di centro destra e centro sinistra), sia nelle amministrazioni locali. Padova, un comune amministrato da una “giunta di centro sinistra” e che nell’ultimo rapporto Ispra presenta un 49,76% di suolo cementificato, nel 2019 ha chiesto e ottenuto dalla regione Veneto, amministrata da una “giunta di centrodestra”, di poter consumare 262 ettari anziché i 40 ettari assegnati in base a quell’anacronistico e ingiustificato plafond di 18257 ettari.
Senza dimenticare una diversa chiave di lettura dell’art.117 della Costituzione. Sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” lo Stato ha la “potestà legislativa esclusiva” (art. 117 Costituzione lett. s) e il suolo è una “risorsa non rinnovabile” che in Italia viene saccheggiata a livello istituzionale da regioni che invocano addirittura “l’autonomia differenziata” (si salvi chi può!) proprio grazie alla colpevole assenza di una normativa nazionale efficace.
Per quest’ultima ragione la “lotta ambientalista”, oltre al contrasto dei limiti della “legislazione beffarda” della regione Veneto (tanto evidenti quanto ignorati da molti “prezzolati sapientoni”), deve, secondo me, usare tutta la sua forza ideale, associativa e mobilitante affinché l’Italia si doti di una legge nazionale che arresti, “senza se e senza ma”, il consumo di suolo per non far diventare la “commemorazione annuale” della perdita irreversibile di suolo una “rievocazione storica”, della serie: quello che c’era e oggi non c’è più. Alla Camera dei deputati un anno fa è stata depositata la Proposta di Legge “Norme per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati” elaborata dal Forum Nazionale Salviamo il Paesaggio e presentata a tutte le forze politiche già nel febbraio 2018.
È l’intero paese che deve dotarsi di una “normativa nazionale” che “arresti” e non semplicemente “contenga” il consumo di suolo come prevedono invece blande e furbastre leggi regionali che ricorrono a formule “greenwashing”, sfoggiando premesse fantastiche e condivisibili seguite da un dipanarsi normativo in totale e assoluto contrasto: la regione Veneto docet.
Trovo molto ben centrato questo articolo, contro la rassegnazione- di fatto connivente -con i divoratori di suolo. Grazie.