Mi accade in questi giorni di provare una strana sensazione: quella di un accerchiamento di forze estranee, condizionanti. È un presentimento sgradevole. A scanso di equivoci, preciso che non si tratta di uno stato psicologico mio personale, frutto della riemersione di paure ancestrali e patologiche. Non c’entra né Freud, né Jung. Qui è il prodotto di segnali ben chiari, oggettivi, per chi li vuol percepire, lanciati nell’etere come frecce dalla punta ideologica e che vanno a colpire la gente, così come le picas e le banderillas vengono scagliate contro ai tori nell’arena spagnola per indebolirli, in modo che il matador possa portare a termine con gloria il suo intento sleale.

Queste frecce non sono letali, magari eccitano pure, ma progressivamente rendono più inoffensivi, secondo il disegno degli organizzatori della corrida. Dopo l’avvento della destra al potere, queste frecce dai fiocchi colorati si sono infilzate nelle carni degli italiani e rischiano di assuefarli. La punta velenosa si chiama SICUREZZA, si è forgiata nella paura verso chi è diverso da noi o nel bisogno di trovare un bersaglio visibile, come scarico alle inquietudini di una società compulsiva che arranca e pretende senza dare.

Questo governo si nutre di mistificazioni e slogan: al problema biblico delle migrazioni risponde non con progetti di inclusione, bensì soprattutto con decreti che tolgono spazio, che istigano a temere la diversità, erge barriere molto utili a far avvertire come enorme un problema dai numeri sostanzialmente ancora gestibili. Dopo il disastro di Cutro ci si sarebbe aspettato un rigurgito di compassione e invece sono venute ulteriori restrizioni, addirittura la limitazione della protezione speciale, un diritto d’asilo prezioso per motivi umanitari personali. In nome della SICUREZZA.

Questo governo aveva inaugurato la cura al disagio giovanile col decreto sui rave party, punitivo, in nome della SICUREZZA. Dove si riesce a far baluginare dei nemici in giro è un vero bingo: l’attenzione dai problemi concreti si sposta altrove. Stessa funzione che hanno spesso le guerre, dichiarate o fredde che siano.

Ora in nome della SICUREZZA e dell’immancabile buonsenso il governo Meloni introduce altre norme punitive e vagamente evocative di uno stato di polizia. Tanto per citare qualcosa: la contestazione e il diritto di sciopero vengono minati, alla polizia viene garantito il possesso di armi anche fuori dagli orari di servizio, pene carcerarie possono essere comminate con più leggerezza a donne con bimbi: oltre alla scuola materna e all’asilo nido oggi potremo fregiarci con più pertinenza di avere il carcere/nido.

Ma restiamo alla cronaca. Discutibili le motivazioni con cui si è proceduto a limitare lo sciopero generale del 17 novembre, secondo motivazioni in punta di fioretto legale: per il governo non si tratterebbe di uno sciopero generale, in quanto sono state escluse alcune categorie, per esempio i trasporti aerei. Dunque è sottoponibile a limitazioni e a precettazione. Ogni singolo cittadino che violasse questo principio è sanzionabile con ammenda fino a 1.000 euro, oltre alla multa con molti zeri agli organizzatori. Eppure è coinvolto l’intero settore pubblico, compresa scuola e sanità. Eppure gli aderenti sostengono comunque il costo della mancata giornata di lavoro, altro che week end lungo, come sostiene il sarcasmo becero di Salvini.

Appunto come le frecce che indeboliscono, progressivamente queste norme via via portano la gente a credere che i problemi si risolvano solo con misure repressive e autoritarie: il carcere per tutti e l’innalzamento delle pene, è una minaccia che dovrebbe far stare buoni come cuccioli.

Non importa se i problemi reali restano immani. Si guarda al dito davanti agli occhi, cioè al disagio di un giorno, e non alla grande minacciosa luna di motivazioni che ci sovrasta. Quella luna negativa che ha portato alla grave decisione di CGIL e UIL di proclamare l’agitazione. Qualche scampolo dei problemi irrisolti e promesse elettorali tradite: si chiede al governo di combattere l’evasione fiscale, di approvare “una vera riforma delle pensioni e non solo di limitare le finestre di accesso dell’Ape social, di difendere e rilanciare il servizio sanitario nazionale anche aumentando i livelli salariali; approvare un piano straordinario di assunzioni nella sanit̀a e nella scuola pubblica; di finanziare le leggi su non autosufficienza e disabilità; aumentare le risorse per il trasporto pubblico locale; rifinanziare il fondo sostegno agli affitti troppo cari”.

Cose concrete. Le misure fin qui adottate dal governo, fatte di proclami libertari, contemporanee restrizioni  e poca ciccia, non hanno dato finora risultati, se non quello di illudere i cittadini di essere protetti dal Male. Storicamente l’illusione autoritaria non ha mai assicurato democrazia e progresso, ma la Storia non insegna mai niente ai contemporanei. L’autoritarismo tende a chiudere la bocca ai media e agli oppositori, attraverso l’emarginazione e l’annacquamento nel dileggio.

Ma qui ci si ammanta di essere italiani brava gente, con prove di altruismo peloso che va denunciato: come nel caso della bimba inglese malata terminale, Indy Gregory. Le è stata concessa in fretta la cittadinanza italiana e la possibilità di un ricovero, del tutto inutile, in Italia. Un esempio di ipocrisia e di mancato rispetto della sanità inglese. Ma così viene stimolato il senso materno degli italiani, uniti nel dolore comprensibile dei genitori. Se ne giova l’immagine di chi proclamato: “Sono Giorgia, sono una madre, sono una donna, sono italiana e cristiana”. Contemporaneamente il governo della stessa madre rende più difficoltosi i soccorsi in mare a centinaia di esseri umani che chiedono di vivere in pace e di fatto li lascia annegare. Dai centri di accoglienza nostrani (non voglio chiamarli riformatori mascherati) e spesso i ragazzini minorenni vengono sbattuti in strada senza futuro, magari in balia delle mafie, non appena compiono i disgraziatissimi diciotto anni. Questi e non altri sono insulti alla legalità, pericolosi anche moralmente.

Intanto lasciamoci infilare da coreografiche picas e banderillas, fino a quando il vitellone Italia potrà girare nell’arena vociante che inneggia alle esibizioni della torera con le chiome bionde.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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