L’arte del legno, che ha reso famosa Venezia nei secoli e che già fiera alzava il capo quando ancora la produzione vitrea muoveva i primi passi per la realizzazioni di semplici oggetti d’uso, ahimè, sembra destinata a spegnersi come le ultime braci di un maestoso camino.
L’arte dell’intaglio, che tanto aveva attratto nobili e potenti per la sua bellezza e per il suo mai scontato estro artistico, non è che un mero ricordo in questi bui tempi: il mercato non vuole più ciò che le abili mani di sapienti artigiani possono forgiare unicamente per il committente, impiegando essenze pregiate, oro e lacca, ma preferisce omologarsi nell’ipocrisia e nella dozzinalità della segatura e della plastica.
Il nostro Emilio Piacentini ha avuto la fortuna di vivere nell’epoca dell’ultimo splendore della capitale lagunare e la sfortuna di assistere alla decadenza culturale degli ultimi decenni.
Emilio nasce nella Venezia del 1939, in una Venezia vera, elegante e pura, che nonostante la guerra incombente conservava il prestigio e la dignità di una dama aristocratica.
Sin da bambino dimostra spiccate doti artistiche tanto da far decidere ai suoi genitori di farlo andare a bottega da un intagliatore, che Emilio chiama ancora “il mio maestro”: Licio Marchetti, il quale aveva appreso l’arte dell’intaglio al collegio Manin e lavorato durante la sua giovinezza con uno dei discendenti Besarel.
Emilio Piacentini ci racconta in maniera divertita la sua prima mansione all’interno della bottega: raddrizzare i chiodi storti, un lavoro che seppur ci faccia sorridere, invero, come egli stesso specifica, era di estrema utilità, insegnando ai nuovi venuti la pazienza.
Emilio, sotto l’occhio vigile del maestro, via via cresce in abilità, così questi lo fa iscrivere ai corsi serali dell’Istituto d’Arte ai Carmini, dove segue il corso di scultura ed ornato.
In questo periodo Emilio Piacentini lavora al fianco del suo maestro per nobili e titolati; tra la diverse realizzazione vale la pena ricordare alcune cornici eseguite per Carols de Beistegui che sarebbero andate ad adornare la sua nuova abitazione veneziana di Palazzo Labia.
Purtroppo il maestro di Emilio passa a miglior vita, lasciandogli però quale eredità la ricca raccolta di modelli e di attrezzi.
Emilio si affaccia quale capobottega in un periodo dei più felici che gli regalerà copiose soddisfazioni. Prenderà parte ai grandi restauri di Ca’ Rezzonico e più tardi a quelli dell’arsa Fenice, eseguirà lavori di restauro per Palazzo Ducale e per la chiesa di S. Zaccaria, collaborerà con grandi antiquari quali Barozzi e Navarro e con prestigiosi decoratori come Stuffi e Cicogna, eseguendo lavori anche per la grande azienda Anfodillo.
Emilio realizzerà una miriade di opere tra mobilia e specchiere, ma sarà proprio verso quest’ultime che svilupperà una particolare predilezione e maestria. Forse anche perché fu proprio una specchiera il primo lavoro che il suo maestro gli fece interamente eseguire in autonomia, una specchiera commissionata dal decoratore Cicogna, il quale, quando fu informato da Licio Marchetti che il pezzo era interamente opera di Piacentini, stupito dalla maestria del ragazzo che aveva eguagliato il maestro esclamò: “… calà la gha fatta?! Co cal muso da ruffian…” scatenando l’ilarità e al contempo l’approvazione di tutti i presenti.
Le realizzazioni di Emilio Piacentini adornano le case di molti veneziani ed italiani, ma anche di un gran numero di americani ed europei, che, quale ricordo della bella città visitata, portavano con sé specchiere ed applique o commissionavano qualche mobile da farsi spedire. La sua maestria può essere ammirata anche in uno dei simboli della città lagunare, la gondola: molti dei ricchi intagli di queste imbarcazioni, infatti, furono eseguite negli anni proprio da Piacentini.
La fama di Emilio nel tempo via via crebbe, non intaccando mai però la sua modestia e la sua bontà, tanto da far sì che egli ancora oggi stenti a riconoscere di essere qualcosa in più di un semplice artigiano.
Quello che scaturiva dalle sua abili mani era l’eredità della serenissima, affinata di generazione in generazione e resa costantemente vitale dal suo ingegno, il rigido legno diveniva soffice e flessuoso sotto i colpi delle sue sgorbie, che realizzavano intricati ramages, volute, rocailles e fiori, in un esuberanza che trasudava storia, gioia e vita, e che isprava, e ispira, ammirazione e stupore.
Alcune delle realizzazioni di Emilio sono esposte in importanti musei come il Museo dell’imbarcazione di Santo Domingo o il Museo Marittimo di Melbourne o nelle raccolte civiche del museo di Ottawa.
Emilio Piacentini appare spesso nelle pubblicazioni inerenti a Venezia, la sua bottega è stata per anni immortalata ed è apparsa in quasi ogni pubblicazione d’oltralpe inerente alla città lagunare; una tra le sue ultime apparizioni patinate è stata quella sul National Geografic.
Nonostante la pensione Emilio per pura passione ha continuato per lungo tempo a realizzare cornici e specchiere da donare ad amici e parenti, ma da qualche anno ha riposto definitivamente le sgorbie con le quali per tanti decenni ha creato mirabili capolavori. Ancora la mattina però potete trovarlo presso la sua bottega nella zona del Ghetto Vecchio di Venezia o in quella dirimpetto dell’amico antiquario, anch’egli in pensione, intento a leggere il giornale o conversare.
Emilio Piacentini è l’ultimo detentore di un qualcosa di unico e meraviglioso, di un’arte che dopo di lui scomparirà per sempre, è l’ultima vera gemma di un grande diadema che un tempo coronava il capo di una fiera Venezia, che ahimè purtroppo sta inesorabilmente soccombendo sotto il peso della vile speculazione e della sciocca superficialità.