Se dalla finestra della nostra abitazione volgiamo lo sguardo a centottanta gradi, sull’incombente orizzonte urbano, difficilmente potremo osservare alberi di specie autoctona.
Homo sapiens, purtroppo, è fatto così: gli piace l’esotico e l’esclusivo, vuole distinguersi insomma, anche per quanto riguarda gli alberi di cui circondarsi.
Così facendo, ovviamente, finisce per imitare le scelte del vicino e del vicino di quest’ultimo, con il risultato che alla fine tutti gli spazi di verde urbano risultano arredati dalle stesse specie arboree, alloctone, talvolta sofferenti, spesso di dimensioni debordanti e inadeguate e altrettanto spesso deformate da potature atroci. Se poi a questo si aggiunge il fatto che si tratta in buona parte di alberi a foglia persistente, che non fioriscono e che segnano una discutibile discontinuità tra l’armonia del paesaggio agrario e la monotonia esotica del paesaggio urbano, il quadro è completo.
Tutto questo è chiaramente dovuto ad una carenza o, meglio, ad un vuoto culturale, che vede i nostri concittadini incapaci di distinguere un pioppo da un tiglio o un acero da un ontano. Con la conseguenza ulteriore che gli stessi cittadini delegano al vivaista di turno o all’architetto-botanico-naturalista – figura improbabile quest’ultima – il compito importante della scelta delle stesse specie arboree con cui arredare i preziosi spazi del verde urbano.
La cultura degli alberi, dunque è importante ed è importante crearla, diffonderla e farla crescere. Ogni assessore ai lavori pubblici, ad esempio, dovrebbe aver fatto un corso per la conoscenza degli alberi prima di assumere il referato che lo vedrà occuparsi anche del verde urbano. Pura fantascienza, ovviamente; tanto più nella realtà italiota, in cui la miseria culturale è spesso vanto di una povera classe politica.
Ma tralasciamo le note polemiche, fondate ma sterili e occupiamoci del tema: quali alberi per i grandi spazi del verde ricreativo e ornamentale?
La componente arborea, in questo caso, dovrà essere prevalentemente autoctona per quanto riguarda l’origine. Dovrà comprendere alberi di prima, seconda e terza grandezza. Infine, dovrà ispirare, con gli insiemi, una sensazione di armonia: la stessa che si percepisce al cospetto dei paesaggi in cui gli insiemi spontanei di alberi crescono, associandosi in base alle esigenze ecologiche di ciascuna specie.
Per quanto riguarda gli alberi di prima grandezza, per intenderci quelli la cui altezza raggiunge e supera i trenta metri, si potrà scegliere tra la Farnia (Quercus robur), il Tiglio nostrale (Tilia platyphyllos), il Frassino maggiore (Fraxinus excelsior) e, per la minoritaria componente alloctona il Ginko (Ginko biloba) e il Liriodendro (Liriodendron tulipifera).
Accanto a questi, che possono formare boschetti emergenti come isole maestose dalle distese di prato, possono essere collocati gli alberi di seconda grandezza, il cui sviluppo in altezza non supera i venti-venticinque metri. Tra questi il Carpino bianco (Carpinus betulus), il Tiglio selvatico (Tilia cordata), l’Acero riccio (Acer platanoides), l’Ontano nero (Alnus glutinosa), il Pioppo bianco (Populus alba), il Pioppo nero (Populus nigra), il Salice bianco (Salix alba), il Frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa), il Ciliegio selvatico (Prunus avium).
Infine, gli alberi di terza grandezza, il cui sviluppo in altezza si ferma a quindici metri o poco più e che comprendono l’Acero campestre (Acer campestre), l’Acero minore (Acer monspessulanum), nonché alcune specie di antica introduzione, adottate dall’agricoltura veneta, come il Pruno domestico (Prunus cerasifera), il Fico (Ficus carica), il Gelso (Morus alba), il Moro (Morus nigra).
Ci spingiamo addirittura a consigliare la nordamericana Robinia (Robinia pseudoacacia) e non solo perché è albero agrario di primo merito, ma perché le sue abbondanti fioriture a grappolo attirano e alimentano migliaia di api; sempre ammesso che le api siano presenti in ambiente.
Bene, caro Lettore, immagina ora un grande parco urbano arredato con il profumo dei tigli, l’oro delle foglie degli aceri d’autunno, il candore delle fioriture di pruno e il canto di centinaia di uccelli. Non è meglio della solita cedrata? Noi pensiamo di sì.