In un articolo su “ILDIARIOonline” dell’8 gennaio scorso davo notizia della grande massa di integrazioni tecniche presentate da ENI Rewind, per il suo progetto di costruzione di un mega impianto di incenerimento di fanghi di depurazione vicino alle abitazioni di Marghera e Malcontenta, che sono state presentate proprio a ridosso della vigilia di Natale, con l’evidente intento di impedire qualsiasi controdeduzione da parte dei cittadini, confidando sulle recenti restrizioni introdotte dal governo Draghi, che riducono a soli 15 giorni la possibilità di presentazione, con la scadenza al 2 gennaio 2024.

Evidentemente ENI non ha tenuto conto della grande capacità di lavoro, e delle notevoli conoscenze tecniche e scientifiche, che alcuni esponenti dei Comitati e delle Associazioni loro consulenti hanno accumulato in questi anni di lotta contro la speculazione legata agli inceneritori di rifiuti e per la difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini.

Tra questi esponenti va senz’altro annoverata una illustre cittadina moglianese, la dott.ssa Vitalia Murgia, che di queste controdeduzioni ha curato la parte sicuramente più controversa, quella riguardante la possibilità di eliminare i micidiali PFAS mediante incenerimento. Negli ultimi anni la dott.ssa Murgia ha approfondito notevolmente gli studi su questa materia,  in collaborazione con esperti del CNR e a supporto di PFASLand, e in quanto appartenente alla Giunta Esecutiva Nazionale di ISDE – Medici per l’Ambiente, Associazione che sta fornendo una consulenza fondamentale al Coordinamento NO INCENERITORE, ed è anche tra i curatori di un importante libro, di prossima uscita, che accoglie gli scritti dei più importanti ricercatori su questo argomento, a livello nazionale e internazionale.

Io ho avuto modo di leggere i due importanti documenti redatti da Vitalia Murgia, allegati alla grande mole di controdeduzioni presentate. Vista la loro complessità ho pensato di rivolgerle alcune domande, per cercare di dare un po’ di chiarezza alla materia che riguarda queste sostanze, che hanno pesantemente segnato l’inquinamento e la salute della gente veneta, e per le quali è in corso un grande processo a Vicenza.

Cosa sono le sostanze raggruppate con l’acronimo PFAS, ed è accertata la loro pericolosità per la salute umana?

Il termine PFAS è l’acronimo di ” sostanze per- e poli-fluoroalchiliche “, una classe di composti chimici inventati dall’uomo che contengono legami carbonio-fluoro. Questo legame chimico è il più forte che sia stato inventato dall’uomo. I PFAS per la loro resistenza al calore, agli oli e agli agenti chimici sono stati ampiamente utilizzati in una varietà di prodotti di consumo come tappeti, rivestimenti per pentole, indumenti impermeabili, cosmetici, farmaci, contenitori usa e getta per i cibi, oltre a schiume antincendio, ed altri prodotti. Sono noti anche come “sostanze chimiche che durano per sempre” perché le stesse caratteristiche che ne hanno diffuso gli usi a livello globale ne hanno causato la resistenza alla completa degradazione, e per questo persistono nell’ambiente. La contaminazione da PFAS è un fenomeno gravissimo a livello mondiale che causa serie preoccupazioni per la salute umana, poiché numerosi studi hanno dimostrato effetti tossici anche gravi. L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) sostiene che ci sono aree in cui la certezza che causano danno è elevata come: effetti diretti sullo sviluppo del feto; ridotta risposta immunitaria ai vaccini; aumento dei livelli di colesterolo ematici; patologia della tiroide; danno al fegato; tumore del rene e del testicolo. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) definisce il PFOA come sicuramente cancerogeno per l’uomo (classe 1) e il PFOS come possibilmente cancerogeno.

Cos’è la “zona rossa”, per quanto riguarda la contaminazione da PFAS in Veneto?

Dopo la pubblicazione nel 2013 di uno studio dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque IRSA-CNR – che confermò la massiccia presenza di PFAS nelle acque di decine di comuni del Veneto – le autorità regionali hanno deciso di dividere le Aree del Veneto interessate dall’inquinamento da PFAS in diverse aree: a) area rossa: area di massima esposizione sanitaria; b) area arancione delle captazioni autonome (pozzi privati); c) area gialla: area di attenzione; d) area verde: area di approfondimento. Questa suddivisione in confini rigidi non è del tutto accettabile per due motivi, innanzitutto i PFAS sono dotati di una elevata mobilità e si diffondono in tutti i mezzi ambientali come acqua, suolo, aria, e si accumulano nella catena alimentare, senza farsi bloccare, quindi, da artificiose delimitazioni di legge. Trattandosi inoltre di sostanze che sono tossiche a nanogrammi (miliardesima parte del grammo), e che tendono ad accumularsi nel corpo umano e nell’ambiente, anche le concentrazioni presenti nelle aree al di fuori della zona rossa o in moltissime aree del Veneto in soggetti suscettibili potrebbero causare danni alla salute.

Le sostanze PFAS sono presenti nei fanghi che ENI intende bruciare?

L’impianto di ENIREWIND dovrebbe bruciare 190.000 tonnellate di fanghi provenienti da impianti di depurazione di acque reflue da scarichi civili. È certo che i PFAS sono presenti anche negli scarichi civili e ciò non deve stupire visto che moltissimi prodotti per la cura della persona (cosmetici, detergenti, farmaci, etc.) contengono PFAS e il fatto che negli scarichi civili arrivano le acque di scarico di tutte le lavanderie, nota fonte di rilascio di PFAS, e di molte piccole attività industriali che usano PFAS nei processi di produzione. Può anche accadere che nei depuratori le acque di scarico civili e quelle industriali confluiscano in un unico processo di depurazione. Pertanto, si può essere certi che i PFAS sono presenti anche nei fanghi che verranno bruciati nell’impianto anche se non sono stati forniti ai cittadini dati certi sulla concentrazione dei PFAS nei fanghi di diversa provenienza.

È accertata la possibilità di eliminare queste sostanze mediante incenerimento?

Allo stato attuale non è possibile eliminare tutti i PFAS attraverso il processo di incenerimento, soprattutto alle temperature relativamente basse a cui lavorerà l’impianto ENIREWIND. Per distruggere del tutto alcune sostanze si dovrebbe arrivare anche a 1400°. L’incenerimento è una pratica che porta all’emissione di aria contaminata da inquinanti, come gas fluorurati ad effetto serra e prodotti di combustione incompleta delle PFAS, inoltre le PFAS possono rimanere nelle ceneri del processo di incenerimento e in questo modo ritornare nell’ambiente. Gli studi attualmente pubblicati non permettono di garantire quali siano i livelli di distruzione effettiva dei PFAS e quali altri contaminanti vengano creati nel processo e diffusi nell’acqua, suolo e aria. La situazione è complicata dal fatto che i PFAS utilizzati sono molte migliaia e per molti di questi non esistono metodi per identificarli nell’ambiente. Purtroppo, sono molto limitati ed ancora in fase di sviluppo i metodi con cui vengono misurati i PFAS nelle emissioni gassose che produrrà l’impianto.

Con che argomenti i consulenti di ENI hanno dichiarato che i fumi degli inceneritori sarebbero depurati da questi inquinanti e sicuri per la salute umana?

Per misurare i livelli delle emissioni del futuro impianto è stato utilizzato “un combustore a letto fluidizzato in scala di laboratorio”, in pratica un impianto “in miniatura” che può dare solo un’idea del possibile funzionamento dell’impianto a scala industriale e che lascia aperte molte incertezze. Le emissioni calcolate con un impianto su scala di laboratorio non sono equivalenti e quindi non devono essere equiparate a quelle che produrrà l’impianto industriale a regime. Non esistono metodi certificati per raccogliere il campione delle emissioni gassose e mancano attualmente metodi standardizzati, cioè certificati e riconosciuti come validi a livello nazionale e internazionale, per misurare le emissioni gassose di PFAS.

In pratica, non possiamo sentirci rassicurati dal documento di ENIREWIND che sostiene che il futuro impianto non emetterà PFAS perché:

  • È stato usato uno strumento lontanissimo come dimensioni e potenzialità dalla realtà industriale futura.
  • I PFAS presenti nei fanghi sono molte migliaia e per la maggior parte non esistono gli standard per misurarli.
  • Non c’è un metodo certo che garantisca che il campione è stato prelevato in maniera efficace per non farsi sfuggire PFAS, sottoprodotti e frammenti di PFAS (PIC).
  • Le emissioni sono state misurate con un metodo che non è riconosciuto come valido per certificare, ma è ancora nello stadio di sviluppo e confronto.
Siro Valmassoni
Medico ambientalista, per 40 anni anche anestesista rianimatore

3 COMMENTS

  1. Complimenti Siro, bell’articolo, di fluida e facile lettura che illustra bene le caratteristiche venefiche dei PFAS poco conosciute ma così pericolose.

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