A partire dagli anni Novanta «La crescita di interesse per la deportazione femminile ha coinciso sia con la responsabilizzazione di intellettuali, centri studi, comunità ebraiche (fra le opere femminili molte sono di donne ebree), sia con riaffermarsi del femminismo e della storia delle donne, vale a dire con una determinazione collettiva a introdurre nel panorama politico e storiografico l’aspetto nuovo rappresentato dalla soggettività femminile». Anna Bravo

Molte donne non hanno testimoniato perché per un lungo periodo non ci si è preoccupati di sollecitare i loro racconti. Alla fine della lotta di Liberazione la figura simbolicamente rilevante è quella del partigiano o del politico riconosciuto, del militante. Internati militari restano sullo sfondo. Come le donne.

Commentando l’atteggiamento con cui i suoi compagni partigiani la accolgono al ritorno da Ravensbriick, Lidia Beccaria Rolfi afferma: «Quando tu tentavi di raccontare la tua avventura, tiravano sempre fuori l’atto eroico: I tedeschi li avevano ammazzati loro, i fascisti li avevano fatti fuori loro… e noi eravamo prigionieri, prigioniere…»

999 Auschwitz 26 marzo 1942

999 donne ebree provenienti dalla Slovacchia, nubili, di età compresa tra i 16 e i 36 anni, furono caricate su carri bestiame e trasportate ad Auschwitz. Vennero impiegate per lavori durissimi: bonificare terreni, trasportare terriccio e materiale edilizio o smantellare edifici, tutto con la sola forza delle braccia.

Il giorno della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio 1945, le sopravvissute erano circa una quarantina. La vicenda di queste ragazze è rimasta sconosciuta per anni. A raccontare questa storia è la scrittrice americana Heather Dune Macadam, autrice del libro Le 999 donne di Auschwitz, frutto di anni di ricerche negli archivi e di interviste alle sopravvissute.

Il campo femminile di Auschwitz fino al luglio del 1942 dipendeva sotto un profilo amministrativo da Ravensbrück.

               STÜCKE, PEZZI

“In previsione di ulteriori esperimenti con una nuova droga soporifera, vi saremmo grati se ci poteste procurare un certo numero di donne”.

“Abbiamo ricevuto la vostra risposta, ma consideriamo che il prezzo di 220 marchi per donna sia eccessivo. Vi proponiamo un prezzo non superiore a 170 marchi a testa. Se siete d’accordo sulla cifra, prenderemo possesso delle donne. Ce ne abbisognano circa 150.”

“Accusiamo ricevuta dell’accordo. Preparateci 150 donne nelle migliori condizioni di salute: appena pronte le prenderemo a nostro carico”.

“Ricevuta ordinazione di 150 donne. Nonostante l’aspetto emaciato, esse sono state giudicate soddisfacenti. A giro di posta vi terremo al corrente dei risultati dell’esperimento.”.

“Gli esperimenti sono stati eseguiti. Tutti i pezzi sono morti. Ci metteremo presto in contatto con voi per una nuova ordinazione.”

Dalla corrispondenza fra la I.G Farben ed i responsabili del lager di Auschwitz, citata in Bruno Bettelheim, Il prezzo della vita, Milano, Bompiani, 1976, cit. in Esistere come donna, Milano, Mazzotta, 1983, pag. 231.

La IG azienda chimica tedesca fu la principale fornitrice al governo tedesco dello Zyklon-B, la sostanza utilizzata nelle camere a gas dei lager.

I.G Farben e Siemens & Halskefurono le aziende che più di altre utilizzarono deportate e deportati come schiave e schiavi per lavorare nelle fabbriche e come cavie per esperimenti e test di medicinali di vario genere.

RAVENSBRÜCK

Viene aperto il 15 maggio 1938. In un primo tempo è campo di “rieducazione” per oppositori politici tedeschi, diventa in seguito campo di concentramento prevalentemente femminile. Dal 1939 all’ingresso dell’Armata Rossa da Ravensbrück passarono 132.000 donne di venti nazionalità diverse: donne con disabilità fisiche e mentali, oppositrici politiche, omosessuali, mendicanti, Rom, testimoni di Geova, prostitute, il 10% erano di origine ebraica. Ve ne morirono circa 92.000. Nel 1944 per ordine di Himmler fu costruita una camera a gas provvisoria, vicino al forno crematorio; in quella camera trovarono la morte per asfissia 6.000 donne, l’ultimo sterminio di massa del regime nazista, ignorato dalla storia per un lungo periodo.

Poco fuori dal perimetro del campo si trovavano le venti officine di proprietà della Siemens & Halske di Berlino. Fu la principale azienda a sfruttare le internate. Si occupò della produzione delle munizioni Union. Liliana Segre è una delle sopravvissute che lavorarono per la Union. Dall’agosto del 1942 all’aprile del 1945, 2300 internate furono costrette al lavoro forzato, sfruttate come manodopera a bassissimo costo. I turni erano di dodici ore, di giorno e di notte.

Dall’Italia occupata dai nazisti e governata dalla Repubblica Sociale Italiana, a partire dall’autunno del 1943, vengono deportate oltre 5.000 donne. Sono partigiane, antifasciste, resistenti e politiche. Sono soprattutto donne di religione o di origine ebraica.

Nella maggior parte dei casi le donne vennero portate nei Lager di Auschwitz e di Ravensbrück.

 Mirella Stanzione, una delle ultime sopravvissute passate per il campo, conferma la durezza inaspettata del ritorno a casa: «Alle staffette partigiane dicevano: perché ti sei impicciata? Sei una donna, cosa ti importava di quanto accadeva? E ancora: se sei tornata cosa hai fatto per tornare? Come ti sei comportata con i tedeschi? Quando sono tornate si sono trovate prive di ogni sostegno e riferimento. Così ti può capitare che te ne stai al lavello a lavare i piatti, viene la Gestapo e ti porta via, e quando ritorni, riprendi a lavare i piatti».

LA CORSA DI DELIA

Nonostante l’amarezza di Mirella Stanzione, di Lidia Beccaria Rolfi, di Cerere Bagnolati e di molte altre le donne: partigiane combattenti, staffette, commissarie di guerra, arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti, deportate, fucilate o cadute in combattimento, 19 medaglie d’oro, 18 medaglie d’argento hanno prodotto un ribaltamento nella cultura, nella società, nei rapporti di forza.

Corre Delia, la protagonista del film “C’è ancora domani”.  Corre a votare. Sa che è una conquista. Le donne per la prima volta in Italia hanno acquisito questo diritto, fino a quel momento negato.  Ma perché questo sia avvenuto ci sono state tutte le altre che hanno aperto a lei, a tutte, la strada dove correre.

Ma ci sono ancora molti altri domani…

Emanuela Niero
Sono nata sotto il segno dei Pesci, mi piace guizzare. Sono femminista, faccio parte del gruppo l’8sempre donne Mogliano, sono partigiana, ho fatto parte del direttivo ANPI di Mogliano Veneto, mi piace leggere per me e per bambine bambini adulti con le lettrici di “Quante storie!”. Lo yoga mi accompagna molti anni.

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