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La “perdita” di “sovranità alimentare” nel nostro paese (importiamo circa il 50% di grano duro e il 40% di grano tenero) e la “marginalizzazione” del “settore primario” sono state accompagnate da un pesante processo di “industrializzazione dell’agricoltura”. I giganti dell’agroindustria hanno disseminato le campagne di monocolture intensive, coltivate ricorrendo ad un uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici che alla lunga, oltre che avvelenare il cibo che finisce sugli scaffali dei supermercati e sulla nostra tavola, fanno perdere “fertilità” al suolo agricolo. Inoltre, secondo Carlo Petrini, “la speculazione sui prezzi dei beni alimentari come se fossero degli strumenti finanziari e il peso rilevante della grande distribuzione che in Italia rappresenta il canale di vendita di quasi il 75% di tutto il cibo” hanno determinato un calo della remunerazione del lavoro del contadino. In questa situazione, quando vengono tolti i sussidi (come nel caso del gasolio in Germania e Francia) o imposte restrizioni ambientali (ad esempio a livello europeo nella riduzione dell’uso dei pesticidi, o nell’obbligo di mettere a riposo il 4% delle proprie terre agricole) i contadini scendono in piazza per la disperazione”. In questo quadro molto fosco disegnato da Carlo Petrini dobbiamo fare in modo di riunire in unica lotta due obiettivi, ecologici e di civiltà: eliminare l’uso dei pesticidi e garantire una giusta remunerazione del lavoro contadino. Abbiamo bisogno di “un’agricoltura contadina” fatta di tante piccole realtà locali per poter declinare un modello di lavoro agricolo basato sulla “diversificazione” delle colture senza utilizzo di fitofarmaci di sintesi, sulla “rotazione” delle colture, sulla possibilità di “mettere a riposo” una quota delle terre coltivate per mantenerne la fertilità, sulla “coesistenza” con fossi, siepi, arbusti, alberi e altre piante, sulla diminuzione del fabbisogno idrico, magari impiegando varietà colturali resistenti alla siccità e agli effetti dei cambiamenti climatici.
Abbiamo bisogno di fermare la perdita di suolo agricolo: il rapporto Ispra 2019 stimava, tra il 2012 e il 2018, in 3 milioni di quintali i prodotti agricoli che avrebbero potuto fornire le aree perdute per strade, abitazioni, capannoni, centri commerciali, poli logistici, supermercati, parcheggi.
Si deve “rivoluzionare” la modalità di “approvvigionamento del cibo”, a partire dal ridimensionamento delle monocolture intensive e degli allevamenti intensivi per dare vita ad una forma di agricoltura del territorio su piccola scala, tramite tante piccole realtà locali che garantiscano il soddisfacimento della sovranità alimentare a chilometri zero a prezzi remunerativi per i contadini che operano in quello che viene definito il “settore primario”. Bisogna “bonificare” il terreno del facile “populismo” nella vicenda dei trattori.
Treviso 117 02 2024 – Grazie per questo contributo i cui contenuti condivido pienamente…
Purtroppo tutti questi “si dovrebbe…” sono ben lungi dalla retorica populista di coloro che dovrebbero governare i fenomeni, soprattutto in chiave strategica.
Vaglielo a dire, a pochi mesi dalle prossime elezioni europee!