“Per i primi due anni della scuola dell’infanzia mi sono trovata ad affrontare alcune problematiche con il mio primogenito nato prematuro a 34 settimane. Non parlava molto bene perché non riusciva a pronunciare correttamente alcuni suoni e questo, probabilmente gli creava qualche frustrazione. Inoltre, la nascita della sorella dopo soli 21 mesi l’ha destabilizzato creando atteggiamenti che non riuscivo a gestire. Non sapendo come risolvere la situazione da sola, e su consiglio delle maestre, mi sono rivolta a terapiste esperte che, nell’arco di due anni, mi hanno aiutata nella crescita del mio bambino lavorando in sinergia”. Così ci ha raccontato una mamma, riferendoci della sua esperienza. Per questo abbiamo voluto saperne di più e abbiamo contattato le due terapiste che si sono prese cura di Luca (nome di fantasia): la dottoressa Barbara Sereni, psicomotricista dello “Studio Incipit Family Care” e la dottoressa Giulia Fedrigo logopedista dello studio “L’Albero dei linguaggi”.
Le dottoresse si raccontano…Barbara ci parla di sé
Barbara Sereni è una psicomotricista e pedagogista. Ha conseguito la Laurea magistrale in pedagogia e ha fatto un percorso di studi di psicomotricità, durato 5 anni, che si è svolto tra Italia e Francia. Nei primi 3 anni ha ottenuto il titolo di psicomotricista e, successivamente, ha seguito un master biennale internazionale all’università di Verona, diventando così psicomotricista internazionale. Lavora allo studio Incipit, nato 5 anni fa dalla collaborazione con la collega Agnese Checchinato, in cui lavorano 12 professionisti in un contesto multidisciplinare. Lo studio Incipit ha lavorato ad un progetto per avvicinare i bambini alla natura e far capir loro il valore del rispetto dell’ambiente in una location aperta da due anni chiamata: Green Officina della natura a Quinzano. Barbara ha lavorato 6 anni per la tutela della professione e ha insegnato per 6 anni psicomotricità alle nuove leve.
Che cos’è la psicomotricità?
La psicomotricità è sconosciuta alla maggior parte delle persone. Per capire meglio il significato di questa parola è bene partire dall’etimologia: PSICO MOTRICITA’. Si parla di due aspetti della persona: mente e corpo, psiche e movimento. Quello che risulta fondamentale capire è che la psicomotricità considera questi due elementi non come elementi giustapposti, contrapposti o a sé stanti, ma come elementi interdipendenti. Ad una situazione di equilibrio del corpo può corrispondere una situazione di equilibrio emotivo e viceversa. L’obiettivo ultimo e principale è quello di ricercare una condizione di armonia, equilibrio e di giusto ritmo tra elementi corporei e motori e aspetti emotivi e psicologici di una persona. Mi interessa che il bambino abbia voglia di muoversi, abbia il desiderio di agire perché solo in questo modo possiamo puntare sulla qualità del trattamento ossia l’equilibrio tra lo stato emotivo e motorio. La psicomotricità nasce in Francia e viene sviluppata da pochi fautori della disciplina in Italia, mentre è molto sviluppata all’estero e, ad oggi è inserita regolarmente all’interno degli ospedali nei reparti di pediatria. La psicomotricità è molto trasversale: può coesistere sia dove ci sono patologie conclamate sia laddove è presente una disarmonia della persona ed è lì che si inserisce meglio. Grazie ad uno schema delle funzioni psicomotorie, riusciamo a cogliere dove c’è la carenza ovvero dove è presente il bisogno del bambino.
Perché hai scelto questo percorso?
Ho fatto questa scelta durante il percorso universitario. Stavo per concludere la triennale, quando ho conosciuto una docente di psicobiologia che mi ha fatto innamorare di tutto ciò che è psicologia del corpo, pedagogia del corpo e ricerca dell’armonia e dell’equilibrio psicocorporeo. La sento e la vedo tutt’ora; la ringrazierò sempre per avermi dato strumenti concreti e per avermi fatto avvicinare alla psicomotricità.
In che modo agisce sui bambini?
Lo strumento elettivo della psicomotricità è il gioco, l’attività ludica, trasversalmente a tutte le età, ma ci concentriamo principalmente sui bambini. Questo è proprio lo strumento che usiamo maggiormente, oltre ad utilizzare il corpo come oggetto mediatore per svolgere le attività. Agisce utilizzando lo schema delle funzioni psicomotorie del bambino e ci consente di creare una sorta di ritratto del bambino nel qui e ora, ovvero come si presenta davanti a me in quel determinato momento della sua vita. Ciò ci permette di capire dove possono esserci dei bisogni specifici nelle diverse aree analizzando gli aspetti motori: tono, postura, equilibrio, organizzazione della lateralità attraverso tutte le aree cognitive: organizzazione spaziale, senso del ritmo, senso del tempo, utilizzo degli oggetti e anche gli aspetti che riguardano l’espressione e la relazione. Creando questo profilo psicomotorio, attraverso il setting psicomotorio poiché la stanza è organizzata come una sorta di bussola, la psicomotricista riesce a comprendere dove si colloca un bambino in base ai propri bisogni. In questo modo si riesce a strutturare un progetto specifico per andare a lavorare sulle necessità del bambino.
Secondo te come interagiscono le due discipline?
Da psicomotricista ti posso dire che tra le funzioni psicomotorie sono contenuti gli aspetti di cui Giulia si occupa. Ci concentriamo sugli aspetti relazionali da diversi punti di vista: Giulia sul verbale e io su quello non verbale. Come psicomotricista mi definisco come professionista della comunicazione non verbale che dal mio punto di vista è trasversale anche all’altra disciplina. Credo che questa sia la chiave di questa collaborazione in cui io credo molto.
Giulia si racconta…
Sono logopedista e musicoterapeuta, mi sono laureata in logopedia a Verona e ho iniziato a lavorare nell’ambito della disabilità grave e con pazienti terminali. Ed è proprio nell’ambito della gravità che ho intrapreso il percorso di musicoterapia come completamento dell’aiuto che potevo dare io nell’ambito della comunicazione nelle situazioni di complessità maggiore. Questo è stato un po’ il motore che mi ha spinto a proseguire gli studi di musicoterapia, prima a Verona poi a Aalborg in Danimarca. Per quanto riguarda la logopedia, ciò che si sa poco è che il logopedista può lavorare su qualsiasi età: dal bambino in TIN all’anziano in casa di riposo o in situazioni geriatriche gravi. Lo spettro delle possibilità è grande; normalmente ognuno di noi sceglie l’ambito d’interesse prevalente. C’è chi preferisce lavorare con i bambini, chi con gli adulti; all’interno di queste macroaree si può decidere di lavorare su un certo tipo di patologia. Io lavoro con l’età evolutiva, uno degli ambiti nei quali siamo più conosciuti. Mi occupo prevalentemente dell’intervento precoce nel linguaggio, con bimbi molto piccoli (anche di un anno) e per tutto il ciclo della scuola dell’infanzia. Ho iniziato questo percorso perché, di fatto, venivo da una maturità in ambito scientifico e mi interessava il campo medico. Mi affascinavano particolarmente i settori del linguaggio e della comunicazione per il fatto che ti mettono in connessione con le altre persone. Di fatto è una delle funzioni primarie che ci rende speciali in quanto esseri umani.
Che cos’è la logopedia?
In logopedia si lavora su tantissimi aspetti. La logopedia è la disciplina che si occupa della riabilitazione o abilitazione del linguaggio, della comunicazione, ma anche di quelle che sono le funzioni orali ed alimentari. Ci occupiamo di tutto ciò che riguarda la bocca dal punto di vista funzionale, del linguaggio e della comunicazione sia in termini motori che in termini più cognitivi.
Perché hai scelto questo percorso?
Ho scelto questo percorso un po’ per curiosità inizialmente; ero molto attratta dalle discipline che avevano a che fare con la comunicazione e dall’ambito medico. Il mio lavoro mi ha dato la possibilità di aiutare diverse persone in diversi ambiti a comunicare e, durante l’esperienza maturata nei primi anni di formazione, ho pian piano selezionato il campo di lavoro in cui ho deciso di specializzarmi.
In che modo agisce sui bambini?
Noi operiamo facendo una valutazione di quelle che sono le componenti del linguaggio per quanto riguarda gli aspetti linguistici (la competenza articolatoria del bambino, la conoscenza del vocabolario, le competenze morfosintattiche e narrative) per capire quanto il bambino sa produrre e comprendere. Le situazioni che ci capita di valutare, però, sono anche più complesse di quello che appare attraverso il linguaggio. È importante per noi collaborare con il foniatra e con il neuropsichiatra infantile che sono di fatto i medici che indirizzano alla riabilitazione. Questa valutazione è per noi fondamentale: ci permette di avere una “fotografia” dettagliata delle competenze del bambino e delle sue fragilità. Si parte da un inquadramento per vedere dove arriva la competenza del bambino in quel determinato momento, e qual è la sua capacità di mettersi in gioco. Una volta la logopedia veniva consigliata dai 4 anni in poi; in realtà si può iniziare molto prima. Ovviamente le cose che si fanno con i più piccoli sono molto diverse, c’è un approccio molto diverso. Più piccolo è il bimbo, più la proposta sarà basata sul gioco, sull’interazione e sul coinvolgimento del genitore come soggetto attivo nel processo di terapia. È difficile dire come si va ad operare perché dipende moltissimo da quali sono le problematiche su cui bisogna intervenire. L’ambito emotivo, l’ambito cognitivo, l’ambito linguistico e l’ambito motorio sono sfere che dobbiamo tenere in considerazione nel momento in cui programmiamo un intervento.
Secondo te come interagiscono le due discipline?
Sicuramente il fatto di lavorare collaborando con altre discipline, fa ottenere risultati migliori. Si opera su macro-obiettivi comuni, ma ognuno utilizza gli strumenti che conosce e che appartengono alla propria formazione. Il percorso psicomotorio aiuta a lavorare sui prerequisiti che il bambino necessita per poi reggere una richiesta da un punto di vista linguistico. Se il bambino fa molta fatica nello “stare corporeo”, negli aspetti di attenzione e di regolazione, farà altrettanta fatica a concentrarsi sugli aspetti del linguaggio. Sicuramente viene prima il corpo e l’interazione dal punto di vista fisico, corporeo, non verbale e poi arriva l’interazione attraverso il verbale. Questo è il più grande aiuto che può dare il lavoro psicomotorio. In ambito musico terapeutico, si può lavorare rinforzando aspetti della terapia logopedica in un ambiente ludico e meno richiestivo. Alcune problematiche emergono in certi setting piuttosto che in altri. Può succedere che nell’ambiente logopedico, essendo più impegnativo, emergano aspetti che in altri ambienti non appaiono. Una delle cose principali che mi sento di aggiungere è legata all’inizio della terapia che può essere anche precoce e questo è uno dei punti di cui le persone non sono a conoscenza. C’è l’idea vecchia che prima dei quattro anni non si possa fare logopedia, e questo non è assolutamente vero. Così come, un altro particolare di cui non si è a conoscenza è che questa disciplina si occupa anche del lavoro sulle funzioni orali non solo negli adulti, ma anche nei bambini. Ad esempio, è riconosciuto quanto sia importante sostenere per esempio lo sviluppo della suzione nel neonato prematuro, così come guidare un corretto sviluppo delle funzioni orali nei primi due anni di vita può contribuire allo sviluppo più armonico delle strutture anatomiche che saranno poi le stesse ad essere utilizzate per il linguaggio. Qualora si riscontrino sviluppi strutturali alterati o situazioni alterate sul piano anatomico (malocclusioni dentali, frenuli labiali o linguali brevi ecc..) i logopedisti lavorano in sinergia con altri medici specialisti come dentisti, chirurghi maxillofacciali, otorinolaringoiatri per intercettare i disequilibri funzionali e ripristinare un corretto assetto delle funzioni alterate siano esse deglutitorie, masticatorie, respiratorie o legate all’articolazione del linguaggio. Non tutte le logopediste, tuttavia, si occupano di tutti questi ambiti. Proprio per il grande bacino di utenza di cui la logopedia si occupa è sempre buona prassi in generale informarsi rispetto a quali ambiti vengono presi in carico dal singolo professionista.