Ci appassioniamo volentieri alle favole, ai romanzi d’invenzione, alla mitologia, insomma a tutto ciò che frappone una distanza – necessaria al nostro senso di sicurezza – tra la finzione ed una verità che spesso fatichiamo ad accogliere, a causa della sua durezza. Così da migliaia di anni piangiamo la nobile Cassandra, profetessa di rivelazioni scomode e puntualmente mai credute, cui toccò infine una morte ingrata. O sorridiamo al caso del povero corvo, l’uccello punito da Apollo per aver rivelato che la sua amata Coronide lo cornificava: da candido pennuto, il dio lo fece diventare – letteralmente – nero.
Per amore di tranquillità siamo disposti ad accettare, sottovalutando i fatti, anche le fandonie del governo israeliano che vorrebbe mettere sul piatto, come prova di giustizia dello stato più democratico del Medio Oriente, l’eccidio di oltre 30.000 innocenti come risposta tosta al massacro da parte di Hamas di 1400 persone, quel maledetto 7 ottobre, e la cattura di un paio di centinaia di ostaggi. Una sorta di legge del taglione biblicamente immane. Giustizialismo dove manca la benedizione di Dio. Non è una questione di proporzioni; nel bilancio della crudeltà due più due non deve fare mai quattro, altrimenti dovremo rivalutare certe logiche infauste come lo furono quelle delle rappresaglie naziste: 10 vittime per ogni tedesco ucciso. Talvolta pecchiamo di eccesso di equidistanza forzata, di politically correct per non spiacere. Ma il numero grandioso di vittime palestinesi, la fame indotta, i cecchini che sparano, le case completamente distrutte e con esse la possibilità di vivere in futuro, la continua pressione/oppressione fanno tremare i polsi anche ai più irriducibili filoisraeliani. Semplicemente: è ora di condizionare quel governo oltranzista a mettere un “basta” definitivo. Non è più tempo di mossette preelettorali filoamericane che strizzano l’occhio alle potenti lobbies e dicono in sintesi agli amici di Netanyahu “uccidete, ragazzi, se lo ritenete necessario, ma – per carità – fatelo con moderazione.” Compromessi che fanno a pugni con la coscienza civile.
Visto che ci siamo scaldati per bene, vorrei sollevare un nuovo motivo di angoscia, scusate tanto. Nel silenzio stampa si sta per celebrare un sopruso di dimensioni planetarie. Dice qualcosa il nome di Julian Assange? Quest’uomo è il più noto esponente di Wikileaks (Fuga di notizie), l’organizzazione mondiale senza scopo di lucro che acquisisce in modo anonimo documenti segreti, volti a mettere in luce comportamenti non etici di governi o anche di aziende. Tratta materiale che scotta, e abusivamente. Ma tutto rigidamente sottoposto a verifica, niente a che vedere con la spazzatura delle Fake news. Grazie ad esso si sono svelati complotti per assassinare membri del governo somalo. Specialmente il presunto campione mondiale della democrazia, gli Stati Uniti, è stato messo in forte imbarazzo per le rivelazioni sulla gestione della terribile prigione di Guantanamo, sulle crudeltà perpetrate in Afghanistan: vanno dall’uccisione di civili all’occultamento dei loro cadaveri; Wikileaks ha rivelato l’esistenza di un’unità segreta dedita a imprigionare o uccidere anche senza un regolare processo i combattenti avversari. Questa pirateria informatica a fin di bene non è una fonte di informazione di parte, tanto è vero che ha reso noto anche il doppio gioco svolto dal Pakistan, ufficialmente alleato degli americani. Attraverso i propri servizi segreti questo stato è stato scoperto a collaborare con i capi talebani, per ostacolare l’intervento statunitense. Wikileaks ha aperto gli occhi persino sul riciclo di danaro sporco ed evasione fiscale da parte di una banca svizzera. Ha portato in luce gli eccidi di Al Quaida con le decapitazioni di bimbi e le carni date in pasto ai cani. Ha rivelato che le cifre dei morti in Iraq – la guerra intrapresa contro un inesistente possesso di armi atomiche – erano state volutamente sottostimate di almeno 15.000 persone.
L’elenco di quelli che dovrebbero essere considerati dei meriti, per un vero e proprio servizio di restituzione della verità al pubblico, è molto ampio: invito a leggere il libro illuminante di Stefania Maurizi, dal titolo Il potere segreto, perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks (Chiarelettere 2021) – prefazione di Ken Loach.
Julian Assange è stato scelto come ideale capro espiatorio, secondo il detto: colpirne uno per educarne cento. Nel frattempo è stata condannata Chelsea Manning, analista dell’intelligence in servizio nell’esercito americano in Iraq, a scontare 35 anni presso la caserma disciplinare di massima sicurezza a Fort Leavenworth. L’accusa provata è quella di aver fatto filtrare a Wikileaks oltre 750.000 documenti segreti e imbarazzanti. Dopo alcuni anni è stata graziata dal presidente Barak Obama.
Su Julian Assange si è invece accanita la caccia. Da parte degli Stati Uniti, ma non solo. Eppure non si tratta di un delinquente o di una spia al soldo straniero, tant’è vero che ha ricevuto encomi ed onorificenze, tra cui il Premio Sam Adams, la Medaglia d’oro per la Pace con la Giustizia dalla Fondazione Sydney Peace e il Premio per il Giornalismo Martha Gellhorn.
È stato ripetutamente proposto per il Premio Nobel per la pace, proprio per la sua attività di informazione necessaria. Invece ha subito inimmaginabili torti: dal 2012 si è dovuto rifugiare nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Per un presunto stupro avvenuto in Svezia (accusa archiviata per non aver commesso il fatto) è stato consegnato alle autorità inglesi e definitivamente incarcerato da aprile del 2019, poiché nel frattempo si è aggiunta anche la richiesta di estradizione americana, su cui si sta ancora interrogando la giurisdizione. Per farla breve, da oltre un decennio un uomo, colpevole di fare del giornalismo libero, è perseguitato in Occidente. La libertà di stampa rischia di ridursi ad un concetto astratto, soggetta alle pressioni dei potenti di turno. Non è cosa nuova, purtroppo. Se i giudici inglesi aderiranno alle richieste del loro tradizionale alleato, si aprirà una falla nell’universo del diritto di parola, difeso dalla carta costituzionale di quel paese sinceramente democratico: in America Julian Assange rischia una condanna fino a 175 anni.
La questione ci riguarda tutti, riguarda la visione del mondo in cui vogliamo vivere. Ci appartiene, per gravità, molto più delle beghe nostrane di piccolo cabotaggio che la scena ci propone abitualmente. È in gioco la nostra dignità di uomini liberi. Altrimenti ci resterà solo la consolazione anestetica delle letture mitologiche e le intriganti storie di spionaggio che ci consentono di chiudere serenamente il libro, se la pagina ci annoia o siamo preda del sonno.
Treviso 06 03 2024 – Grazie di questo importantissimo contributo alla verità…