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Alle elementari l* maestr* ci facevano scrivere i pensierini dal titolo: “La scuola che vorrei”. Allora ognuno di noi prendeva in mano la propria matita e si impegnava a trasformare i propri desideri e la propria immaginazione in frasi di senso compiuto. Alla fine, venivano fuori sempre le stesse cose: un giardino con gli animali, un campo da calcio, i dolci in mensa, un orto, passare più tempo in giardino o in palestra.
Peccato che il tema della scuola ideale sia stato relegato esclusivamente alle scuole primarie. Chissà quanti spunti interessanti sarebbero venuti fuori interrogando allo stesso modo ragazz* più grandi, ma dare voce ai desideri di giovan* e student* fa paura. Fa paura perchè potrebbe essere un campanello d’allarme che le cose non stanno funzionando, fa paura perché potrebbe venir messo in discussione un sistema vecchio di cent’anni, fa paura perchè vorrebbe dire attirare l’attenzione su un tema che si cerca di far passare inosservato, fa paura perchè vorrebbe dire investire in qualcosa che, tutto sommato, se sopprimiamo le voci di chi prova ad apportare cambiamento, potrebbe restare così com’è e così come è sempre stato. Per questo motivo i* giovani scendono per le strade, nelle piazze, manifestano e ancora, spesso, vengono repressi. Dunque immaginiamo ora di consegnare a* ragazz* un foglio bianco e di incaricarli di scrivere il loro “pensierino” dal titolo:” La scuola che vorrei”. Sicuramente molti partirebbero dalla questione più evidente: gli edifici scolastici. Si tratta quasi sempre di edifici molto datati e trascurati: da buchi nelle pareti, infiltrazioni d’acqua, pioggia in palestra, finestre che cadono fino a crolli e aree pericolanti che non rientrano nelle norme antisismiche. Secondo Cittadinanzattiva, infatti, circa il 47% degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1976 e i crolli di vario genere, avvenuti tra settembre 2022 e agosto 2023, sono stati 61. Secondo l a stessa fonte si tratta di un record.
Un altro punto su cui molt* student* spenderebbero delle parole riguarda i corsi di educazione sessuale e all’affettività: argomento centrale de* giovani che scendono in cortei per chiedere una riforma scolastica. Le istituzioni ci vedono come cittadin* solo quando fa comodo a loro. Quando, invece, la richiesta è di rendere obbligatori dei corsi che formino al rispetto, al consenso, all’accettazione dei no e dei fallimenti, alla sana relazione con chi ci circonda, ci viene posto davanti un muro contro cui andiamo inevitabilmente a sbattere. La scuola ha ormai perso di vista i suoi obiettivi, fatto sancito dall’aggiunta della parola “merito” al nome del Ministero. La scuola, che dovrebbe non solo insegnare ma anche, e soprattutto, formare ed educare le nuove generazioni a sradicare problematiche sociali e creare giovani consapevoli, ha fatto della meritocrazia il suo unico pilastro, guardando all* student* non più come persone ma come medie matematiche, un susseguirsi di voti e di possibilità che in futuro potrebbe essere giusto offrirgli.
E nonostante cert* professor*, che provano a remare contro questa tendenza, la strada che sta percorrendo chi è al potere, ormai da un po’, non è più quella di valorizzare le peculiarità di ciascun* ma piuttosto di premiare coloro che dimostrano di avere le doti utili al mondo del lavoro, in modo che vi si possano inserire al più presto per contribuire alla crescita economica del paese. Questo è uno dei sintomi della manipolazione che la società contemporanea ha inflitto alla scuola. In un mondo all’occidentale dove contano solamente i soldi e la produzione efficiente e dove tutto viene misurato in cifre, sono diventati cifre pure l* student*. Ecco, le valutazioni sarebbero un altro punto del tema su: “La scuola che vorrei”. Il numero è uno strumento estremamente limitante quando deve esprimere concetti complessi e articolati come nel caso di apprendimento e condotte. Certamente è uno strumento comodo ma finisce per diventare un modo con cui gli insegnanti si lavano le mani. Hai preso sette, piuttosto che quattro, cinque o otto? Bene, ora sta a te studente cercare di capire dove hai sbagliato e soprattutto come fare a migliorare, e pure velocemente perché altrimenti vieni lasciato indietro.
Per questi motivi, se ci venisse chiesto di parlare della nostra scuola ideale scriveremmo di un’utopia in cui la scuola sarebbe una comunità di persone che cresce e apprende le une dalle altre, senza gerarchie e tanto meno piramidi che classificano l* student* in base ai voti, in cui quell* ritenut* “migliori proseguono mentre l* altr* vengono accantonati. Tuttavia, i vari governi che si sono succeduti negli anni, troppo intenti ad amministrare capitali e privilegi, hanno lasciato che il mondo scolastico formasse delle crepe profonde, sostenuti da una società che non riesce ad immaginare una scuola diversa da quella in cui l’individuo viene ridotto ad una valutazione numerica.
Per fortuna c’è chi ci crede ancora: l’educazione de* bambin* come cura finale per la società pregna di capitalismo malato in cui viviamo.
Treviso 15 04 2024 – Grazie di questo contributo…
Un commento per la redattrice di questo testo e per la redazione tutta: si può evitare di usare gli asterischi? Rendono la lettura faticosa e non mi sembra spostino davvero in avanti la nostra idea di tolleranza e inclusività. Oltretutto mi sembra di essere all’interno del film dei Monty Python, Brian di Nazareth…