Nell’ambiente politico, specie in questo periodo di schermaglie preelettorali, è sempre la coerenza a rimetterci le penne. Persino Machiavelli, che di intrighi la sapeva lunga e non ne faceva questioni morali, osservava: «io non credo che sia cosa di più cattivo esempio in una repubblica, che fare una legge e non la osservare, e tanto più, quando la non è osservata da chi l’ha fatta»[xxxix]
Eppure è inutile fare le mammolette: abbiamo digerito, acclamandoli, persino capi di governo corruttori della giustizia e puttanieri, collusi con la mafia, ministri truffatori del fisco e dei lavoratori, eccetera. Certo la vita degli uomini è un rebus dove le tentazioni, o per essere buoni le circostanze, a volte ci mettono dalla parte sbagliata e vi rimaniamo, non fosse altro che per convenienza: “Chi è senza peccato, scagli… eccetera”.
Ma chi ha deciso di mettersi in politica dovrebbe avere (non solo mostrare) la faccia pulita, possibilmente non di bronzo e far seguire con i fatti, non solo a parole, una rigorosa coerenza. Non parlo di coerenza con gli ideali, troppa grazia, ma almeno di una coerenza piccola piccola con le proprie proclamate convinzioni. Pare invece che, consci del fatto che gli elettori soffrono di repentine amnesie, sia ampiamente sfruttata la loro evidente menomazione.
Purtroppo le figure di alto profilo non sono abbastanza considerate, dato che in politica funzionano meglio il gossip, i like e non il curriculum; così troppo spesso vengono premiati incantatori di serpenti che grattano la crapa al popolo. Lo illudono, come in una fiction, che l’Italia si può cambiare in un miracoloso “pluff” e gli insuccessi comunque sono sempre colpa dei governi precedenti. Si dice che nella pubblicità conti di più ripetere ossessivamente un messaggio che non puntare sulla sostanza e così la bugia continua a dare i suoi frutti.
In questo mondo capovolto spesso la gente frastornata vota, quando vota, senza riguardo all’informazione. Per via di quella solita incurabile amnesia, essa conferma le propria scelte per fede di bandiera o nel leader del momento, supportando magari partiti che non le appartengono minimamente né per interessi, né per classe sociale o sentimenti ideali (qui mi ostino da romantico a nominare la parola ideali).
Così già vedo schiere di poveri lavoratori sedotti dalla bionda premier, perennemente “fiera dei risultati”, che si innalza sui tacchi con la promessa di un miserevole “bonus” (versato nel 2025!) del valore di 100€ lordi. Al netto di tasse fanno 77 euro: una famiglia può sentirsi coperta da questo specchietto per le allodole? Aumenti di energia, inflazione, costi indiretti per la guerra ucraina e servizi si sono già pappati da mo’ questa cifretta scandalosa.
Nel 2017, per l’ennesima volta in argomento, il Consiglio e la Commissione europea proclamarono l’adozione dell’European Pillar of Social Rights: tra i principi stabiliti come base del Welfare europeo sanciva che “chiunque fosse sprovvisto di risorse sufficienti ha diritto a un reddito minimo che garantisca dignità in ogni fase della vita e accesso effettivo a beni e servizi”. La risposta italiana, invece, è stata l’abolizione del reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con misure largamente inferiori. 5,6 milioni di persone in Italia vivono sotto la soglia di povertà. L’Italia è l’unico paese OCSE in cui i salari reali (al netto dell’inflazione) diminuiscono anziché aumentare, mentre ad aumentare è solo il costo della vita. La canzone è nota: avere un lavoro non mette più al riparo dalla povertà, visto che il 50% delle famiglie in povertà relativa include un lavoratore con un reddito insufficiente a soddisfare i bisogni del nucleo familiare.
Lavorare e rimanere poveri è una assurdità. Ed è un’ ingiustizia inaccettabile. Moltissime voci accademiche, della società civile, delle parti sociali sostengono con analisi e proposte concrete misure per ridurre la povertà: un salario minimo legale è una delle componenti fra le più rilevanti. I lavoratori italiani sono trent’anni che non vedono crescere il loro reddito: non è un’affermazione arrabbiata, questa è statistica (rapporto Ocse). Altro che sbandierare 77 euro come fosse una soluzione! Ricorda il pacchetto di pasta da un chilo offerto agli elettori napoletani ai tempi di Achille Lauro nel 1952.
Vorremmo incontrare donne e uomini consapevoli, invece che dispensatori di favori per “simpatia” verso un leader: una simpatia istintiva, a prescindere dai contenuti e dalle realizzazioni. La personalizzazione della politica è un altro aspetto della gravità del caso.
Eppure i segnali di insofferenza della gente, spesso la più accorta e acculturata, verso una disinvolta gestione della cosa pubblica danno segni allarmanti e si esprime nel progressivo rifiuto a votare. Già, mi spingo nella banalità: la democrazia si esercita dapprima col voto democratico e al di fuori c’è l’anarchia o la rassegnazione inconcludente. Poveri padri, poveri partigiani che ci hanno messo anche il sangue e la vita, se non basta l’impegno per questa conquista basilare della democrazia!
Alle ultime elezioni politiche ha votato più o meno il 64% di chi aveva diritto. I partiti della maggioranza di governo rappresentano grosso modo il 44% dei voti (Camera 43,79%, Senato 44,02%) . Facendo un rapido calcolo il paese è guidato dall’attuale maggioranza di centro destra che rappresenta soltanto il 28,16% degli italiani con diritto di voto. Una minoranza impressionante. E gli altri? Evidentemente l’opposizione conta ancor meno. Quel che qui preme ricordare è che i non votanti avrebbero (il condizionale è d’obbligo) in mano le redini del governo della repubblica e si danno alla macchia, lasciando comunque il pallino in mano ad altri.
In questa desolante situazione si comprende, ma non si giustificano, quei partiti disposti a raschiare il barile e chiudere un occhio verso il proprio elettorato “naturale”, per tentare di incassare nuovi consensi con operazioni tattiche francamente nauseanti, invece che sollecitare la maturazione di una cittadinanza attiva.
Vediamo quanto sta succedendo per le elezioni europee, sempre più importanti:
la Lega, in posizione precaria, anche grazie alla discutibile gestione di capitan Salvini, tenta la carta disperata: recuperare consensi dall’estrema destra, imponendo come candidato capolista in Centro e Sud Italia il generale Vannacci, campione di ideologie che profumano di fascismo perenne (per esempio nella discriminazione, malamente mascherata, nei confronti di LGBT e disabili); i Veneti leghisti, il cui esponente più appassionato è Roberto Marcato (il più votato nel Veneto, dopo Zaia) hanno il mal di pancia, ma se lo faranno passare con una pastiglia: lontani i tempi in cui la Liga si dichiarava orgogliosamente antifascista.
Giorgia Meloni, per rispondere degnamente all’alleato leghista, reo di pescare col sorriso nel suo stagno – “dai nemici mi difendo io, ma dagli amici mi guardi Dio” – si prodiga a imbarcare tra i Fratelli d’Italia Vittorio Sgarbi: pazienza se si tratta di un indagato, già sottosegretario alla Cultura, dimissionario a seguito delle inchieste giornalistiche di Report per i suoi cachet d’oro ricevuti durante l’incarico di governo e soprattutto per presunto riciclaggio di un prezioso quadro del Seicento rubato. I Fratelli, a parole rigorosi garanti della legalità, malgrado certe evidenze sospette, si trincerano nel porto sicuro del “fino a quando uno non è condannato, è comunque eleggibile”.
Così gli italiani, se voteranno i simboli di questo centro destra-destra opportunista, confermeranno implicitamente anche l’appoggio a simili figure discutibili. C’è poco da rallegrarsi.
Del resto i giochi delle figurine, per vincere la partita elettorale, riguardano anche casa nostra a Mogliano Veneto, dove si concorre per il rinnovo dell’Amministrazione; anche qui la lotta si è fatta dura: ha sollevato scalpore nel centro destra la detronizzazione di fatto, imprevedibile, dell’assessore alle politiche sociali Giuliana Tochet. Mossa chiara che segna un avvicinamento di questa amministrazione uscente ai Fratelli d’Italia in ascesa e ai suoi elettori, attraverso la sostituzione con la signora Francesca Caccin. La giunta Bortolato ha probabilmente fatto i suoi calcoli: del resto questa formazione si definisce “pragmatica e non ideologica”. Personalmente ritengo che talvolta l’ideologia serva a sostenere dei valori irrinunciabili, ma così va la moda. Sciolte nelle acque del fiume Zero scorrono, oramai diluite, parole come lealtà, antifascismo…
Treviso 06 05 2024 – Grazie di questo importante contributo…
Ciao Roberto, volevo ricordare che il Sig. Sgarbi Vittorio è un pregiudicato in base alla condanna definitiva del 1996, per “Truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato”, a 6 mesi e 10 giorni più 700.000 lire di multa per aver all’epoca disertato per 3 anni il suo ufficio presso la Soprintendenza di Venezia con scuse puerili e presentando certificati medici che accampavano malattie inesistenti.
Attualmente è indagato per un’intricata vicenda di quella che si sospetta una copia falsa di un dipinto (di sua proprietà) da lui attribuito ad un caravaggesco del ‘600 Rutilio Manetti e del furto, avvenuto nel 2013, del vero dipinto dello stesso autore e per illecita esportazione del quadro di un altro caravaggesco del valore di 5 milioni