Se negli anni Cinquanta e Sessanta l’auto simbolo della motorizzazione di massa del paese era stata la Fiat 600, il nuovo decennio si apre all’insegna di un modello radicalmente nuovo destinato ad avere uno straordinario successo: la Fiat 127.

I primi anni Settanta vivono ancora in qualche modo sullo slancio del decennio precedente anche se gli entusiasmi e gli effetti del miracolo economico sono finiti da tempo, spenti da conflitti sociali sempre più forti che trovano nell’autunno caldo del 1969 il loro apice. Ma gli italiani sembrano ancora votati alla voglia di viaggiare in modo comodo ed economico e di questa tendenza si fa interprete come sempre la Fiat che continua ad avere il monopolio del mercato automobilistico nazionale, nonostante dal luglio del 1968 siano stati aboliti gran parte dei dazi doganali che fino allora avevano gravato sulle importazioni di auto estere. Nel 1970 la casa torinese è ancora leader in Europa nelle cilindrate piccole e medie ma deve sostituire la gloriosa 850 del 1964, evoluzione della 600, della quale erano stati venduti quasi tre milioni nelle varie versioni ma il cui progetto risentiva ormai del peso degli anni.

La nascita del modello destinato a prenderne il posto, la 127, si deve ancora una volta ad una intuizione di Dante Giacosa, capo della progettazione Fiat, che si accorge del talento di un giovane designer esterno e decide di affidargli il compito di inventare lo stile della nuova utilitaria nonostante il parere contrario di buona parte della dirigenza torinese: si chiama Pio Manzù ed è figlio del celebre scultore Giacomo. Il designer (che purtroppo morirà in un incidente stradale nel 1969 mentre si recava a Torino proprio per presentare i disegni definitivi della 127) inventa un concentrato di modernità: una berlina compatta a due volumi, cofano anteriore che copre la parte superiore dei parafanghi, due porte ampie e frontale squadrato caratterizzato da fanali rettangolari. Dal punto di vista meccanico presenta un propulsore da 903 cc. da 47 CV (lo stesso della 850 Sport Coupé) in posizione anteriore trasversale per contenere l’ingombro ed è anteriore anche la trazione: questa soluzione “tutto avanti” appare per la prima volta in un’utilitaria Fiat e non sarà più abbandonata. La nuova vettura è lunga meno di 3,6 metri con una abitabilità eccellente anche per cinque adulti grazie ad un abitacolo dalle grandi superfici vetrate e dalle finiture semplici ma curate. Viene presentata nel 1971 e costa 970.000 Lire (10.350 euro) che rappresentano circa sette stipendi e mezzo di un operaio ma piace subito a tutti e a grande richiesta l’anno successivo viene introdotta la più funzionale versione a tre porte con portellone posteriore il cui prezzo sale a 1.040.000 Lire (poco più di 11.000 euro). 

Ma com’era l’Italia dell’auto negli anni Settanta? Nei primi anni del decennio l’industria automobilistica nazionale continua crescere nonostante le migliaia di ore di sciopero provocate da una fortissima conflittualità sindacale: sette vetture su dieci immatricolate in Italia sono di produzione nazionale e naturalmente la Fiat fa la parte del leone tanto che nel 1972 è addirittura la regina del mercato europeo con 1.165.000 vetture vendute.

Il vero shock per il settore scoppia dopo la crisi energetica conseguente alla guerra lampo dello Yom Kippur tra israeliani e arabi nell’ottobre del 1973 quando l’Opec raddoppia il prezzo del carburante tagliando del 25% la produzione e mettendo fine per sempre al ciclo di espansione dell’economia basato sull’energia a buon mercato. Di conseguenza dal 1974 l’automobile cambia strada: si cerca di ridurre i consumi, di affinare l’aerodinamica in funzione del risparmio, si riducono le cilindrate e si fa leva sull’economia di esercizio mentre prima si puntava tutto sulle prestazioni facendo facile presa sull’anima corsaiola dell’automobilista medio. Resta il fatto che a causa della recessione economica conseguente alla crisi petrolifera il mercato dell’auto entra in una spirale di crisi dalla quale si riprenderà solo negli anni Ottanta.

Sono gli anni dell’austerity, delle domeniche a piedi e poi delle targhe alterne, delle città senza traffico, immagini simbolo di un periodo nel quale l’intero Occidente industrializzato si accorge di dipendere quasi completamente dal punto di vista energetico da aree geografiche che per decenni aveva considerato alla stregua di riserve di materie prime dalle quali trarre il massimo beneficio possibile a costi minimi. Il 1975 risulta l’anno della più forte depressione mondiale del dopoguerra: crescita zero, ristagno commerciale, caduta verticale degli investimenti e oltre 15 milioni di disoccupati nei paesi occidentali. In Italia comprare e possedere un’automobile comincia ad avere costi importanti, a cominciare dalla sostituzione dell’Ige al 6% fisso con l’Iva al 12% fino a 2.000 cc. e al 18% per le cilindrate superiori. Il prezzo della benzina raddoppia in pochi mesi, le vetture che usano il più economico gasolio vengono gravate di un superbollo e a cascata aumentano la tassa di circolazione (che diventerà tassa di possesso nel 1983) e le tariffe autostradali.

La crisi petrolifera porta però anche un risvolto positivo perché per la prima volta si sente parlare di risparmio energetico, di coibentazione degli edifici, di regolazione degli impianti di riscaldamento e, come abbiamo visto, di automobili più sobrie nei consumi con conseguenti benefici anche per l’abbattimento dell’inquinamento: una sorta di svolta ecologica forzata che però apre la strada alle grandi battaglie per la tutela dell’ambiente degli anni successivi.

In questa congiuntura piuttosto scoraggiante gli italiani continuano comunque ad affollare le autostrade soprattutto durante le vacanze estive e figura iconica di questo periodo resta Raffaella Carrà che invita dai cartelloni stradali ad effettuare una sosta nei Big Bon Agip. Nel primi anni Settanta si registrano sulle nostre strade quasi 15 milioni di auto  con una densità di una vettura ogni 4,5 abitanti tanto che bisogna far fronte anche dal punto di vista normativo ai crescenti problemi di sicurezza nella circolazione: vengono resi obbligatori l’assicurazione RC (1971), lo specchietto retrovisore esterno (1975) e gli attacchi delle cinture di sicurezza (1976) anche se l’obbligo di indossarle anteriormente, secondo una pessima abitudine tutta italiana, arriverà solo nel 1988.

E la nostra gloriosa Fiat 127? Ottenuto il riconoscimento di Auto dell’Anno 1972 resta uno dei modelli di maggiore successo nella storia della casa torinese, prodotta in oltre 5 milioni di esemplari in svariate versioni compresa una famigliare e una “rustica”. Tra il 1973 e il 1978 risulta l’auto più venduta in Europa fino a quando sarà a sua volta superata nelle vendite dal modello destinato a sostituire il mitico Maggiolino: la Volkswagen Golf il cui DNA, come vedremo, parla italiano.  

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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