La storia della Volkswagen resta una delle più emblematiche del Novecento. Concepita come l’automobile che doveva motorizzare la Germania nazista ha finito per diventare uno straordinario successo commerciale esportato in tutto il mondo.

Continuando il viaggioche ricostruisce il nostro rapporto con l’automobile dobbiamo questa volta spostarci nella vicina Germania per occuparci di una vettura iconica che ha superato i decenni restando sempre fedele a sé stessa: la Volkswagen Typ 1 meglio conosciuta da noi come Maggiolino. La sua storia ha qualcosa di straordinario e irripetibile che vede come protagonisti un dittatore sanguinario, un progettista geniale, un ostinato maggiore inglese e un grande manager.

Ma andiamo con ordine.

Inaugurando il Salone dell’Auto di Berlino del 1934, Hitler nominato cancelliere l’anno precedente, dichiarò che l’auto non doveva essere più privilegio di pochi bensì diventare un mezzo di trasporto alla portata di tutti, tanto più che aveva appena dato il via alla costruzione di una moderna rete autostradale. Per motorizzare i tedeschi scelse il progetto dell’ingegner Ferdinand Porsche, titolare di un famoso studio a Stoccarda, che riguardava un’utilitaria di circa 1000 cc., piuttosto compatta, in grado di raggiungere i 100 km/h. Hitler, dal canto suo, impose che il consumo non avrebbe dovuto superare i sette litri per cento chilometri, la presenza di almeno quattro posti comodi, che doveva essere raffreddata ad aria per evitare congelamenti invernali e soprattutto che non dovesse superare il prezzo politico di 1.000 Reichsmark.

Al Salone di Berlino dell’anno successivo il Führer utilizzò per la prima volta il termine “Volkswagen” cioè auto del popolo ma solo alla fine del 1936, piuttosto in ritardo sulla tabella di marcia, iniziarono le prove su strada. Nel maggio del 1938 veniva posta a Wolsfburg, in Bassa Sassonia, la prima pietra di quella che sarebbe diventata la più grande fabbrica di automobili del mondo sotto un unico tetto e che è tuttora la sede generale della Casa tedesca. Alla fine di quell’anno la vettura era ormai definita: carrozzeria in acciaio, motore quattro cilindri boxer (contrapposti) da 985, cc. da 23,5 cavalli raffreddato ad aria, quattro posti comodi. Per la verità fece subito una certa impressione la sua forma tondeggiante, piuttosto brutta per i canoni dell’epoca, ma quanto mai efficace dal punto di vista aerodinamico visto che era stata disegnata nella galleria del vento di Stoccarda. Trenta prototipi percorsero circa due milioni e mezzo di chilometri di prove lungo le strade tedesche prima di arrivare alla fase produttiva vera e propria. E nel 1939 finalmente la vettura si svelò in forma ufficiale al Salone di Berlino. Ma quale nome darle? Il termine Volkswagen non veniva ancora usato per definire la marca ma indicava genericamente una vettura popolare e poiché doveva essere venduta dall’organizzazione dopolavoristica nazista Kraft durch Freude (Forza attraverso la Gioia), Hitler in persona decise di chiamarla KdF-Wagen, un nome assurdo al quale invano si oppose lo stesso Porsche.

Nel frattempo, fu varato un grande piano di risparmio individuale in base al quale i lavoratori che desideravano acquistare una KdF ricevevano una cartella di risparmio sulla quale ogni settimana apporre un bollino del valore di 5 marchi fino a coprire il costo finale di 990 marchi. Con questo ritmo ci sarebbero voluti comunque tre anni e mezzo per venire in possesso di una vettura ma con questo ingegnoso sistema il regime finanziava la costruzione della fabbrica di Wolsfburg. Una vera e propria truffa nei confronti dei 300.000 tedeschi che iniziarono la raccolta dei bollini perché nel settembre del 1939 scoppiò la Seconda guerra mondiale e nessuno riuscì mai ad acquistare una sola KdF. Ferdinand Porsche finì per progettare carri armati per lo sforzo bellico del Reich e questo comportò nel 1945 il suo arresto e la condanna a 20 mesi di carcere da parte dei francesi. Nel 1948 si ritirò in Austria (suo paese d’origine che condivideva con Hitler) dove fondò la casa automobilistica che porta il suo nome destinata a diventare famosa per le sue vetture sportive.

E la KdF? La guerra e la conseguente occupazione della Germania avrebbero potuto determinarne la morte definitiva perché quando la zona di Wolfsburg passò sotto l’amministrazione militare britannica si corse il rischio della totale demolizione della fabbrica. Fortunatamente a dirigere gli impianti o quel che ne restava venne incaricato il maggiore inglese Ivan Hirst il quale, convinto della fondamentale bontà del progetto, iniziò in mezzo a mille difficoltà a riattivare le linee di produzione. Così nel 1948, dopo due anni e ventimila auto prodotte, quella che ormai si chiamava definitivamente Volkswagen venne riconsegnata alla  gestione tedesca. E qui entra in scena l’ultimo protagonista di questa incredibile storia: Heinz Nordhoff, un manager che aveva una maturato una buona esperienza alla Opel prima della guerra. Applicò un ferreo blocco salariale fino ad ottenere dei profitti, rinnovò il modello, trovò i finanziatori per lo sviluppo degli impianti e addirittura riuscì ad iniziare l’esportazione nel difficile mercato nordamericano dove la Volkswagen veniva vista ancora come “the Hitler’s car”. Fondamentale per questo successo fu la straordinaria campagna pubblicitaria realizzata dall’agenzia DDB che, in un paese nel quale il tenore di vita si misurava dalle dimensioni dell’automobile, operò una clamorosa inversione di tendenza dichiarando guerra al gigantismo: “Think Small” recitava il più famoso slogan nel quale il Maggiolino se ne stava piccolo piccolo decentrato in uno spazio bianco. Fu allora che, facendo riferimento alle forme tondeggianti della vettura, venne per la prima volta utilizzato il termine “Beatle” (scarafaggio) con il quale è tuttora chiamata nel mondo anglosassone, trasformata da noi nel più agreste “Maggiolino”. Da questo momento il successo della creatura di Ferdinand Porsche diventa inarrestabile in tutti i mercati, compreso quello italiano dove arriva per la prima volta nel 1951. Il 12 febbraio 1972 il Maggiolino diventa la vettura più venduta nella storia dell’auto superando i 15 milioni di esemplari prodotti! Riesce perfino a trasformarsi in un simpatico personaggio cinematografico grazie alla famosa serie Disney di Herbie nella quale l’utilitaria tedesca sembra vivere di vita propria. Oggi il marchio Volkswagen identifica uno dei maggiori costruttori mondiali di auto con una vasta gamma di veicoli ma certamente deve tutto a questa piccola automobile, nata per motorizzare le masse irregimentate del tetro Reich nazista e divenuta invece uno dei più diffusi e amati simboli del mondo moderno.

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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