Prima del Festival di Sanremo, prima di Lascia o Raddoppia, prima di Canzonissima, prima del karaoke di Fiorello, insomma prima che la televisione mettesse tutti seduti davanti ad uno schermo, vi fu per un certo periodo della nostra storia nazionale un evento spettacolare che portò ai bordi delle strade folle deliranti: era la Mille Miglia, corsa automobilistica di velocità pura che partiva da Brescia, raggiungeva Roma e ritornava a Brescia. Due giorni e una notte a tutto gas lungo la viabilità ordinaria, attraverso campagne, paesi e città. Inventata nel 1926 da quattro appassionati del volante, il giornalista Giovanni Canestrini e i gentlemen drivers Renzo Castagneto, Aymo Maggi e Franco Mazzotti, la Coppa delle Mille Miglia (cioè i 1600 chilometri di lunghezza del percorso) nasceva con lo scopo di dare  visibilità internazionale all’automobilismo sportivo italiano nonché allestire una grande vetrina alla nostra industria automobilistica. L’esordio avvenne nel marzo del 1927 con 77 equipaggi iscritti (pilota e meccanico) e il successo fu tale che Mussolini in persona decretò: “Si ripeta!”. Iniziava così una straordinaria serie di ventiquattro edizioni, una sequenza annuale interrotta solo nel 1939 e dal 1941 al 1946 a causa della guerra.

Scrive lo storico della corsa Daniele Marchesini:

Tra quelle disputate su strada è sicuramente la prima, mai allora né mai più in seguito eguagliata. I milioni di persone che fanno da corona ogni anno al suo vorticoso passaggio testimoniano di una partecipazione impressionante che attinge linfa alla ripetitività seducente del rito. E della festa: perché la Mille Miglia è tale per metà del paese che, tutto sommato, volentieri sospende per quasi due giorni i propri ritmi ordinari di vita, come si conviene ad ogni festa vera.

Ma qual era il segreto di una simile popolarità? In primo luogo la Mille Miglia era una corsa “democratica” nel senso che era aperta a tutti, professionisti e dilettanti e per tutti intendiamo anche le donne, in quegli anni ancora rarità al volante, la prima delle quali fu la baronessa rodigina Maria Antonietta Avanzo che esordì nell’edizione 1928. In secondo luogo, la corsa creava una sorta di identità di massa in quanto consentiva agli spettatori di partecipare ad un evento unico nel suo genere e in qualche modo essere accomunati non solo ai grandi piloti ma anche ai moltissimi VIP del cinema, dell’industria, della politica o del bel mondo per i quali la corsa era un avvenimento mondano a cui non bisognava proprio mancare.

Così la Mille Miglia si trovò ad andare in scena di fronte ad una platea lunga 1600 chilometri occupata dal pubblico in ogni ordine di posti: sui tetti delle case, sui balconi, sugli alberi, sui pali della luce o del telefono, sui cartelloni pubblicitari, sulle spallette dei ponti, sul ciglio della strada, spesso il più vicino possibile al passaggio delle vetture. La successione infinita dei passaggi dei bolidi rombanti di giorno o di notte creava non pochi problemi di sicurezza tanto che sui muri delle località attraversate apparivano cartelli di questo tenore: “Mamme! Attente ai vostri bambini!” oppure “Tenete custoditi gli animali” nonostante lungo il percorso venisse mobilitato un imponente servizio di assistenza, rifornimento e registrazione dei passaggi.

Ma soprattutto la Mille Miglia non si sviluppava girando in tondo come nei circuiti dei gran premi ma passava lungo le strade di tutti i giorni, ammassati ai bordi delle quali gli spettatori intravvedevano solo per qualche attimo i loro eroi. Quell’attimo valeva tutta la corsa, come ben sapeva Lucio Dalla.

Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari,
la gente arriva in mucchio e si stende sui prati,
quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari,
la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore
e finalmente quando sente il rumore
salta in piedi e lo saluta con la mano,
gli grida parole d'amore,
e lo guarda scomparire
come guarda un soldato a cavallo,
a cavallo nel cielo di Aprile!

La suggestione di questa corsa era tale che un episodio avvenuto realmente suggerì a Giuseppe Berto nel 1956 una deliziosa novella intitolata “Pistone” uscita sul settimanale sportivo “Il Campione”. Vi si narra di due giovanissimi veronesi, Ugo Trialdi e Romolo Sbroggiò detto Pistone, che truccano di nascosto la Topolino C del padre del primo e si intrufolano clandestinamente nella corsa quando passa dalle loro parti, diretta verso Padova. Per diversi chilometri gareggiano furiosamente con la vettura di un vero concorrente per poi alla fine uscire fuori strada. Pieni di ammaccature finiscono in ospedale ma l’orgoglio per la loro impresa vince su tutto il resto e coinvolge perfino i loro genitori.

Va detto che la Mille Miglia contribuì grandemente non solo a promuovere l’industria automobilistica nazionale (Alfa Romeo, Lancia, Ferrari e Maserati per le vittorie assolute ma anche Fiat e Lancia nelle categorie minori) e inoltre spinse anno dopo anno a migliorare le condizioni della rete stradale italiana, specialmente nelle edizioni del dopoguerra, vista la progressiva crescita del numero dei partecipanti (arrivarono ad essere quasi 600!) ma viste soprattutto le medie pazzesche tenute dalla vetture più potenti. Talmente elevate che nel 1957, dopo diversi incidenti mortali avvenuti nelle edizioni precedenti, si verificò inevitabilmente la grande tragedia che mise fine a questa epopea.

Sul rettilineo di tra Goito e Guidizzolo, a 40 chilometri dal traguardo finale di Brescia, la grossa Ferrari 335 S del pilota spagnolo Alfonso de Portago e dell’americano Edmund Nelson lanciata a 300 chilometri all’ora uscì di strada per lo scoppio di un pneumatico piombando fra la folla. Il bilancio fu drammatico: morirono i due piloti e 9 spettatori tra cui 5 bambini. Le polemiche si scatenarono roventi e lo stesso Enzo Ferrari subì un’inchiesta giudiziaria in quanto costruttore della vettura. Di conseguenza nel giugno di quello stesso 1957 il Ministero dell’Interno vietò tutte le gare motoristiche di velocità su strada: era la fine della Mille Miglia ed era soprattutto la fine di un’epoca a suo modo gloriosa dell’automobilismo sportivo nella quale il pubblico poteva quasi toccare con mano il passaggio delle macchine da corsa quando i concetti di prevenzione, sicurezza e livello di rischio erano ancora tutti da inventare. Resta il mito di una corsa inimitabile che per due giorni catturava l’attenzione dell’Italia intera e che ebbe, come in tutte le storie epiche che si rispettano, in Tazio Nuvolari il suo eroe immortale.

Nuvolari è bruno di colore, Nuvolari ha la maschera tagliente
Nuvolari ha la bocca sempre chiusa, di morire non gli importa niente
Corre se piove, corre dentro al sole
Tre più tre per lui fa sempre sette
Con l' "Alfa" rossa fa quello che vuole
dentro al fuoco di cento saette

(canzone musicata da Lucio Dalla su testo di Roberto Roversi)

Renzo De Zottis
Renzo De Zottis é nato a Treviso il 9 settembre 1954 e da qualche anno ha lasciato l'insegnamento nella scuola media. Collabora da lungo tempo con svariati mensili occupandosi prevalentemente di argomenti di carattere storico. Ha inoltre al suo attivo diversi servizi fotografici per le maggiori testate nazionali di automobilismo storico ed é stato addetto stampa in diverse manifestazioni internazionali del settore. Fa parte del direttivo dell'Unitre Mogliano Veneto e da almeno un ventennio svolge conferenze per questa associazione e per l'Alliance Française di Treviso.

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