Preferite “È la pioggia che va” dei Rokes (1966) o “Scende la pioggia ma che fa” del nostro Gianni Morandi del 1968? Dura eh? In questo maggio liquido ci saremmo posti il quesito molte volte visti i record delle precipitazioni. E relative inondazioni, vedi Castelfranco e vicentino. Il nostro Zero no, non ha creato problemi, qualcosa in più il Sile (il suo affluente Rio Serva) a Casale e dintorni. Queste situazioni ci danno il destro per fare un paio di ragionamenti.
Come abbiamo già scritto l’acqua (troppa) di questo mese è uno schiaffo al buon senso: solo una minima parte viene trattenuta. Il commissario straordinario per la crisi idrica parla del 15% ma secondo molti è un ottimista. Nota di colore, non riesco a farne a meno, lui si chiama Nicola Dell’Acqua. Si possono già aprire scommesse su quando scoppieranno le prime proteste degli agricoltori per la prossima siccità, su quando inizieranno le baruffe tra le esigenze idroelettriche quelle delle irrigazioni, su quando si riaccenderà il contenzioso idrico tra il Trentino e le città venete. Luglio? Agosto?
Va detto che in questi giorni si è parlato parecchio delle vasche di laminazione (o casse di espansione) che hanno in parte salvato Vicenza e altre località. Funzionano in modo semplice, intercettano a monte (prima) l’acqua, la trattengono e poi a emergenza finita la rilasciano a valle (dopo) nello stesso fiume. Non tutto così automatico. Non si possono aprire subito perché quando arriva il picco di piena rischiano già di essere colme. Non si possono usare le idrovore perché il fiume è già al limite. E poi basteranno? Quante ancora ne vanno a costruite? E dove? Bisogna come al solito sacrificare zone naturalisticamente pregiate, tanto mica ci sono colture pregiate lì… vedi Ciano del Montello. Non sono problemi da poco anche perché i modelli matematici predisposti dall’università di Padova non sono più adeguati a questo cambiamento climatico. Vedi maggio.
A margine, e ritroviamo il sorriso, hanno funzionato le vasche del nostro Zero: quella sullo Scolo Zeretto a Campocroce, sullo Scolo Rusteghin a Mogliano e sullo Zermanson a Marcon. Hanno evitato danni e sono anche belle da vedere e utili per l’avifauna. Ecco lo Zero non è certamente un fiume imponente e strambo però ci permette di fare un altro esempio virtuoso. Parliamo di argini.
Facciamo un impietoso confronto tra il Muson e il nostro. Quello che vediamo nella zona di Camposampiero è un fiume diritto, rettificato con alti argini ai fianchi. Quello che constatiamo in questi giorni però è anche uno “sbrego”, un crollo della riva di una ventina di metri e inondazione repentina della campagna attorno. Quindi? Rettificare, trasformare i fiumi in autostrade, diritte non fa che aumentare la velocità della corrente e poi… puff. Stessa cosa se innalziamo gli argini senza lasciare un margine anfibio all’acqua, argini non come muri ma come graduali (e larghi) spazi dove le acque in esubero possono transitare. In altre parole, i fiumi devono avere ai lati una zona decrescente, magari verde con piante depurative. Quello che si è iniziato a fare sulle rive dello Zero in certe zone, specie verso la foce dove il fiume è bello cresciutello.
Riassumendo. Tutte queste precipitazioni stanno modificando il nostro sguardo verso i fiumi, esattamente come l’anno scorso ce lo aveva imposto la siccità. “Un alto e un basso fa un guaivo” … giusto?
Un po’ di veleno per concludere. Ci piace. Che fine ha fatto quel progetto strombazzato dei mille laghetti in Regione? Vi ricordate? Mucche e fenicotteri felici, irrigazione e mitigazione. Manco uno.