Pur concepita nei lontani anni Trenta la leggendaria utilitaria della Citroën continua ad essere il simbolo di vettura capace di arrivare ovunque e trasportare di tutto.
Se la vicenda progettuale e produttiva di ogni automobile comporta un lungo processo fatto da un lato di soluzioni estetiche e tecniche e dall’altro da indagini di mercato e valutazioni sui costi produttivi, sono pochissime le vetture che hanno raggiunto l’esclusiva dimensione del mito, riservata cioè a quelle che hanno segnato tappe fondamentali nella storia delle quattro ruote.
Una di queste è certamente la Citroën 2CV, modello che la memoria collettiva custodisce gelosamente a dispetto del tempo e delle mode.
La genesi di quella che oltralpe viene affettuosamente chiamata “la Deuche” (dalla contrazione di deux chevaux) ha qualcosa di epico che la dice lunga su come e perché una volta venivano inventate le automobili. Ma prima di raccontarvela dobbiamo inquadrare la situazione storica.
Nel 1935 il fondatore della omonima casa automobilistica francese, André Citroën, era stato costretto a lasciare il vertice dell’azienda messa in crisi da un indebitamento ormai insostenibile. Imprenditore geniale e sempre in anticipo sui tempi, aveva costruito dal nulla nel 1919 un colosso automobilistico giunto a rivaleggiare con i concorrenti storici Renault e Peugeot. Ma gli ingenti capitali necessari per sostenere modi sempre nuovi e moderni di concepire il prodotto automobile, avevano richiesto una disponibilità finanziaria che alla fine nessuna banca poteva o voleva più garantire.
Per questo l’azienda era stata rilevata e sanata finanziariamente dalla famiglia Michelin, allora come oggi uno dei grandi produttori mondiali di pneumatici. E qui inizia la storia della nostra francesina.
Nel 1936 Pierre Boulanger, posto a capo della Citroën, recuperò l’idea di una vettura economica in grado sia di contribuire alla motorizzazione di massa in Francia (un po’ come si stava facendo in quegli anni in Germania con la Volkswagen e in Italia con la Topolino) sia di risollevare i bilanci della Casa. Incaricò quindi il direttore dell’ufficio progetti Maurice Brogly di progettare un’utilitaria chiamata TPV (Toute Petite Voiture) precisando il seguente cahier de charges:
«Una vettura che possa trasportare due contadini in zoccoli e 50 kg di patate, o un barilotto di vino, a una velocità massima di 60 km/h e con un consumo di 3 litri per 100 km. Le sospensioni devono permettere l’attraversamento di un campo arato o dei sentieri accidentati di campagna trasportando un paniere di uova senza romperle, devono garantire un buon comfort e soprattutto e la vettura deve essere facile da guidare”.
Quest’ultimo punto che può sembrare un ovvio requisito, nasceva in realtà da una considerazione affascinante che val la pena di riportare. Boulanger aveva osservato che i contadini francesi si recavano spesso in paese con il carro trainato dai cavalli. Il fattore doveva accompagnare l’intera famiglia che andava a vendere i propri prodotti e comprare quelli necessari alla sussistenza ma mentre moglie e figli eseguivano le commissioni lui era costretto all’inoperosità perché doveva badare a carro e cavalli. Ma se la TPV avesse potuto essere guidata dalla moglie, il contadino se ne poteva restare alla fattoria e continuare il proprio lavoro con indubbi benefici per il suo reddito e addirittura per l’economia del paese. Semplice, no? In tutto questo l’aspetto estetico della nuova vettura non aveva alcuna importanza ma nonostante questo i progettisti di Quai de Javel, sede storica della Citroën a Parigi, non riuscirono a produrre un progetto che racchiudesse tutte le caratteristiche volute da Boulanger. E qui entra in campo André Lefebvre, un altro protagonista della storia, che aveva già progettato quell’autentico capolavoro che era la Citroën Traction Avant, ultimo grande progetto voluto da André Citroën nel 1934. Lefebvre percorse in auto migliaia di chilometri in tutto il paese per realizzare un rudimentale sondaggio d’opinione su quale fosse la vettura ideale per i francesi. Grazie ai suoi dati alla fine del 1937 uscì il primo prototipo della TVP: era spinto da un piccolo motore a due cilindri contrapposti raffreddato ad acqua con tre marce e pesava appena 400 kg grazie ad una carrozzeria in lega di alluminio, allestimenti interni ridotti all’osso e un tetto in tela completamente apribile fino all’altezza del bagagliaio. Sempre per contenere il peso al posto del motorino d’avviamento era prevista una semplice cordicella come i motori fuoribordo. E visto che il codice della strada allora lo permetteva la vettura aveva un solo faro anteriore collocato sulla sinistra! Le prove su strada continuarono fino al 1939 ma la guerra purtroppo venne a interrompere tutto e della TPV non si parlò più fino alla fine delle ostilità. La Citroën la rilanciò come simbolo della rinascita francese al salone di Parigi nel 1948 chiamandola però 2CV in rifermento ai suoi cavalli fiscali. In realtà non era proprio la stessa vettura anteguerra perché il motore, rivisto dall’italiano Walter Becchia, era sempre il bicilindrico di 375 cc. da 9 cavalli ma questa volta raffreddato ad aria per risparmiare il peso del radiatore e le marce erano diventate quattro. La velocità massima non superava i 66 chilometri orari. La carrozzeria in acciaio (la lega di alluminio era troppo costosa) resterà più o meno la stessa fino ai giorni nostri era merito di un altro italiano, il designer e scultore Flaminio Bertoni che aveva già disegnato la Traction Avant e disegnerà nel 1955 anche la meravigliosa Citroën DS. Naturalmente Boulanger volle dire la sua sugli interni perché era sua abitudine provare personalmente l’abitabilità di ogni vettura ed essendo piuttosto alto effettuava i test sempre con il cappello in testa per cui se il cappello cadeva l’automobile veniva respinta. I sedili molto spartani ad amaca erano rimovibili per liberare spazio (sempre pensando al contadino) e potevano essere usati come panchine da picnic o sedie. Tutto l’equipaggiamento della piccola vettura era estremamente semplificato: l’indicatore della benzina, ad esempio, si riduceva ad un’astina graduata fissata al tappo del serbatoio, una soluzione preistorica se confrontata con le decine di spie luminose e sensori delle vetture moderne ma perfettamente il linea con la filosofia dell’essenzialità e della riduzione del superfluo di questo originalissimo progetto. Dopo un primo momento di perplessità per una automobile subito definita “brutto anatroccolo”, il mercato ne capì il valore progettuale e rispose entusiasticamente tanto che i tempi di consegna arrivarono a superare i due anni! L’ultima “Deuche” prodotta in Francia uscì nel febbraio del 1988 mentre l’ultima in assoluto lasciò lo stabilimento portoghese di Mangualde nel luglio del 1990. Negli oltre quarant’anni in cui è stata prodotta la 2CV è cresciuta a piccoli passi, migliorando continuamente un progetto di base che ancor oggi stupisce per le sue doti di praticità, economicità e funzionalità e non finisce di far innamorare schiere di appassionati e collezionisti. L’immortalità, ça va sans dire, è garantita.
Treviso 10 06 2024 – Molto interessante…