Un bel nome che molti storpiavano in Sergio. Ma “Serio” non si arrabbiava e anzi ci scherzava su dicendo che suo cognato, tanto per fare coppia, si chiamava “Severo”. Il bel nome latino faceva sorridere chi invece Serio lo conosceva bene. Una persona allegra, gioviale, amico di tutti tutt’altro che seriosa e musona. E tutti non era un modo di dire, signore negozianti vicini, si univano in un corale “Ciao Serio” ogni volta che passava per la via, per via Roma ovviamente. Nel quartiere ovest lui era diventato con la sua bonarietà una specie di istituzione, un vigile della gentilezza presente negli orari canonici in cui poteva scambiare due chiacchiere con gli amici, sedersi al bar, meglio al tavolino esterno, in tutte e quattro le stagioni nei giorni comandati.
Amici che attraversavano più generazioni, perché lui di anni ne aveva 94 e chi dialogava con lui passava indifferentemente attraverso i decenni con facilità, giovani sessantenni e i suoi, pochi in realtà, coetanei. Anche le signore erano pronte senza remore alla chiacchiera perché lui aveva un segreto: non era mai uno che aveva ragione per forza, sapeva ascoltare e dire la sua senza mai darti l’impressione di perdere del tempo, suo e tuo, e di avere piacere nel raccontare e nel sentirsi raccontare quelle piccole cose che fanno parte della vita di un borgo.
Eh sì il borgo verrebbe da dire del “borgo antico”, perché Serio era un po’ il simbolo dell’ovest, del quartiere “di là delle sbarre”, il quartiere dove ha sempre abitato e che lui poche volte abbandonava superando le ardite discese e salite del sottopasso ferroviario. Lungo via Roma c’erano tutte le sue tappe, le sue visite e tra chi lo rimpiangerà ci saranno per primi i negozianti della via che increduli hanno appeso l’epigrafe sulle vetrine. E lo sono tutti perché Serio si era conquistato una fama di irriducibile di senza età, i suoi novant’anni e più erano vissuti sportivamente senza incertezze nel passo, nell’eloquio, con ironia e salute. La leggenda era che non avesse mai passato un giorno all’ospedale ma lui, con occhio furbetto, diceva che no, che l’anno scorso c’era stato mezza giornata per una cataratta. E lo dimostrava lavorando con precisione certosina al suo orto, con i geometrici livelli delle sue siepi che non erano divisioni dai suoi vicini ma occasione di scambio, di reciproche confidenze.
Serio era vedovo della sua amata Gina ma era un uomo che non aveva per un attimo abbandonato il governo della sua vita nel suo svolgimento regolare, di bucati lavati e stesi e della sua autonomia cantata e fischiata.
Sì la musica. Tutti nel giro di cento metri da casa sua conoscevano la melodia del suo fischio o le sue canzoni spesso adattate in modo divertente a ciò che gli accadeva. Romanze intonate dedicate al brutto tempo, canzoni dedicate ai suoi pomodori che stentavano nel loro rossore, con la radiolina accesa che lo incitava alle sue improvvisazioni. Adesso chi gareggerà con Mario, l’altro fischiatore con i baffi e la bicicletta del quartiere?
Serio se n’è andato veloce, senza disturbare ed è logico, lui l’avrebbe detto, senza un giorno di ospedale.